Gianni Agnelli muore il 24 gennaio del 2003. Quattro lustri dopo, lui resta sempre nel Gotha del “made in Italy” perché è il simbolo di quel “miracolo economico” che rimpiangiamo moltissimo soprattutto ora, con la recessione che continua a colorare di nero il nostro futuro.
Indissolubilmente legato alla sua Torino e allo sviluppo industriale e al boom economico italiano del dopo guerra, Gianni Agnelli era un predestinato.
Secondo dei sette figli di Edoardo e di Virginia Bourbon del Monte dei Principi di San Faustino, nasce a Torino il 12 marzo 1921 e già quando era ancora un ragazzino di 14 anni era stato scelto dal nonno, il senatore Giovanni Agnelli e fondatore della Fabbrica Italiana Automobili Torino, come futuro uomo guida della Fiat all'indomani della prematura morte del padre, Edoardo, nel mare della Liguria.
Scapolo d'oro, raffinato playboy, amante delle macchine veloci e delle belle donne (sempre con grande riserbo) ma anche appassionato di pittura e tifoso della Juventus e della Ferrari, Gianni Agnelli è stato il mito per tante generazioni di italiani tanto che nei giorni della scomparsa, il 24 gennaio 2003 nella residenza di famiglia sulla collina torinese, quando la notizia fece in pochi minuti il giro del mondo, molti salutarono la sua morte come quella “dell'ultimo re d'Italia”.
A 22 anni Gianni Agnelli entrò in Fiat come vicepresidente per prendere le redini dell'azienda di famiglia nel 1966, a 45 anni: a passargli il testimone era stato Vittorio Valletta, che aveva guidato la Fiat nel ventennio precedente.
A 32 anni sposa la principessa Marella Caracciolo di Castagneto, appartenente a un'antica nobile famiglia di origini napoletane, da cui poco dopo ebbe due figli, Margherita ed Edoardo. Ma è sulla plancia di comando della Fiat che Agnelli è destinato a rimanere saldamente ala guida per oltre un trentennio, negli anni del boom economico. Anni in cui gli italiani impazzivano per la 600, anni del movimento studentesco e delle grandi lotte operaie del 1968. La Fiat allora stava espandendosi per la prima volta oltre i confini nazionali e gli scioperi, l'assenteismo, i boicottaggi di quegli anni ebbero sull'azienda pesanti effetti. Nel 1974 venne eletto presidente della Confindustria e scese a patti con i sindacati siglando la storica l'intesa sulla contingenza con la Cgil di Luciano Lama.
Seguirono anni difficili e duri per l’Italia e per la Fiat, in difficoltà economiche, che nel 1976 lo costrinsero a far entrare in Fiat la finanziaria di Gheddafi. Poi gli anni di piombo in cui Fiat pagò il suo drammatico tributo di morti e feriti e il 1980 con l'occupazione di Mirafiori. Fu quindi affiancato da Cesare Romiti e rilanciò insieme a lui la Fiat in campo internazionale trasformandola in pochi anni in una holding diversificata in vari settori.
La morte di Agnelli arrivò in uno dei momenti più complessi della storia del gruppo Fiat, quattro anni dopo averne festeggiato il centenario, con conti in perdita, indebitamento altissimo. Ma l’Avvocato tirò fuori un altro dei suoi colpi di genio e salvò l’azienda. Come il nonne fece con lui affida il controllo della Fiat e delle holding di famiglia a John Elkann, primo figlio di Margherita, che nel 1997 aveva solo 22 anni.
Curioso e irrequieto, ironico, dalla battuta sempre pronta, cittadino del mondo e di casa negli Stati Uniti, Giovanni Agnelli sebbene sensibile al richiamo della politica non si schierò mai con un partito, a differenza della sorella Susanna che si candidò per il Partito Repubblicano e del fratello Umberto eletto nelle fila della Democrazia Cristiana. Nel 1991 venne nominato senatore a vita dall'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
L’amore per la Juventus. "La Juve è per me l'amore di una vita intera, motivo di gioia e orgoglio, ma anche di delusione e frustrazione, comunque emozioni forti, come può dare una vera e infinita storia d'amore". Con queste parole l’Avvocato parlò della sua squadra del cuore, la squadra di famiglia, oggi al centro di un processo che la vede sul banco degli imputati con la giustizia ordinaria e penalizzata di ben 15 punti dalla giustizia sportiva. Parlando di gioia e di orgoglio, e anche di delusione e frustrazione, si riferiva al campo. Quando è morto non c'era stata ancora Calciopoli, non si era allungata nessuna ombra sulla gestione della società con l’inchiesta Prisma di questi ultimi mesi.
Redazione sintony.it