Era uscita dalla propria casa di Shiraz, nel sud dell'Iran, lo scorso 24 novembre indossando un comunissimo cappellino con visiera al posto del velo islamico. Un gesto che Mahak Hashemi da tempo era solita compiere in segno di solidarietà nei confronti delle proteste in corso da mesi nel suo Paese.
Purtroppo, però, a casa non vi ha più fatto rientro. Quarantotto ore dopo, il padre ha ricevuto una chiamata in cui gli si chiedeva di presentarsi in obitorio per il riconoscimento di alcuni cadaveri. Fra questi c'era pure quello della figlia sedicenne. Uccisa a manganellate dalla polizia iraniana per essersi macchiata della "colpa" di non aver indossato il velo, bensì un cappellino da baseball, un simbolo di un mondo occidentale con il quale il regime degli ayatollah non vuole avere nulla a che fare.
Le forze di sicurezza iraniane sostengono che la ragazza sia morta a seguito di un incidente stradale e hanno pubblicato alcune fotografie della macchina ribaltata a bordo della quale si sarebbe trovata la giovane. E lo stesso pare sia stato affermato da alcuni account social che sostengono di appartenere alla famiglia della sedicenne e che chiedono di cessare con le dicerie sulla sorte della ragazza.
Non sta a noi capire dove stia la verità, certo è che in Iran ci sono tante cose che non vanno. L'impressione però è che la morte di Mahsa Amini sia stata solo la prima di tante uccisioni efferate e incomprensibili.
@Redazione Sintony News