Una sentenza della quarta sezione del TAR del Veneto rischia di fare storia nel diritto elettorale italiano, stabilendo che le schede con su scritto il nome del cane del candidato sindaco sono da considerarsi voti validi. Il caso riguarda l'elezione del sindaco Mario Mantovan, avvenuta a maggio, dove tre schede riportanti la scritta "Thor" – il nome del cane del primo cittadino – hanno contribuito con sette voti al suo risultato finale. Mantovan aveva vinto con un margine di soli sette voti sul secondo arrivato.
Il ricorso era stato presentato da Stefano Permunian, il candidato sconfitto, che aveva contestato diversi aspetti del voto. Il TAR, tuttavia, gli ha dato torto su tutti i fronti, riconoscendo la piena validità dei voti espressi, compresi quelli più singolari.
L'elemento centrale della discussione è stata la presenza del nome "Thor" nelle schede elettorali. Secondo la tesi del ricorrente, tale anomalia avrebbe potuto configurare un "segno di riconoscimento", annullando il voto.
I giudici amministrativi hanno respinto questa interpretazione. Hanno infatti riconosciuto che il cane del sindaco, Thor, è un personaggio noto in paese: "sia il controinteressato che il Comune hanno rilevato che il cane del candidato sindaco Mario Mantovan si chiama Thor".
La sentenza sottolinea che l'animale domestico "lo ha accompagnato nel corso della campagna elettorale, affiancandolo in varie iniziative pubbliche anche a sfondo ambientale ed essendo in buona mostra accanto all’immagine del suo padrone nello stesso profilo social utilizzato dal candidato e visionato da migliaia di follower".
Per il TAR, scrivere "Thor" o "Mario Vigile" (riferimento al fatto che il sindaco è uno storico dirigente della Polizia Municipale) non è da intendersi come un tentativo dell’elettore di farsi riconoscere, ma come un intento di identificare in modo univoco il candidato.
"L’anomalia indicata non conduce a ritenere, in modo inoppugnabile, la volontà dell’elettore di farsi riconoscere, potendo trovare giustificazione nell’intento dell’elettore di dare univocamente il proprio voto al candidato sindaco e, o alla sua coalizione," si legge nella sentenza.
In sostanza, questi soprannomi o riferimenti affettuosi e noti in città "non vanno intesi come segni di riconoscimento tali da condurre all’annullamento del voto ma come un rafforzativo della volontà dell’elettore di attribuire il voto al candidato sindaco".
L'unico argomento sollevato dal ricorrente non respinto nel merito, ma dichiarato fuori dalla competenza amministrativa, riguarda la presunta presenza di Mantovan ai seggi elettorali nei giorni del voto, in violazione della norma che impone una distanza minima di 200 metri.
Su questo punto, il TAR ha chiarito che la violazione della distanza dai seggi "non deputata a costituire un vizio del procedimento elettorale rilevabile nell’ambito del giudizio amministrativo di legittimità," in quanto la questione ha una natura penale.
@Redazione Sintony News