Negli ultimi tempi, cresce il numero di persone che optano per un'insolita "modalità da monaco" per disintossicarsi dai social network e recuperare il controllo della loro vita digitale. Al centro di questa tendenza, spicca l'app "Freedom", che offre agli utenti la possibilità di bloccare l'accesso alle piattaforme social più popolari, consentendo loro di concentrarsi su un'unica attività, resistere alle distrazioni digitali e aumentare la propria produttività.
Ma cosa significa esattamente questa "modalità da monaco" e perché sta guadagnando così tanto terreno? I microtrend vengono e vanno, ma la Monk Mode sembra avere una parabola di vita diversa, indicando qualcosa di più profondo riguardo alla nostra società. Questo approccio prende ispirazione dall'ascesi dei monaci tibetani e offre un percorso per disintossicarsi dai telefoni, dai social network e per adottare uno stile di vita più sano.
Questo trend si integra perfettamente con la tendenza attuale di ritornare ai vecchi telefoni senza accesso a Internet e si allinea con le stime che indicano un aumento dei casi di disturbi d'ansia e depressione, specialmente in seguito alla pandemia di COVID-19.
La Monk Mode sta diventando particolarmente popolare negli Stati Uniti, e prevede un periodo che va dai 20 ai 90 giorni senza cellulare. Anche se potrebbe sembrare un po' estrema, questa modalità ci insegna che, ogni tanto, possiamo lasciare il telefono a casa e ritrovare il tempo per noi stessi.
Ma la Monk Mode non si limita a disintossicare da social e dispositivi elettronici. Promuove anche altre pratiche giornaliere liberamente ispirate al mondo monastico. Liberarsi dal telefono significa guadagnare tempo per la preghiera o la meditazione, dedicare almeno mezz'ora al giorno alla lettura e dedicarsi all'esercizio fisico, abbinato a una dieta sana e all'astensione dall'alcol. Questo approccio completo alla disintossicazione digitale permette di eliminare le distrazioni, guadagnando così più tempo per fissare obiettivi e identificare i passi da compiere per raggiungerli.
Marta Rachele Pusceddu