La zona rossa avrebbe permesso di evitare circa 4000 morti nella provincia di Bergamo travolta dall'ondata di contagi covid tra il febbraio e il marzo 2020. E’ quanto si legge nell'avviso di conclusione delle indagini della procura di Bergamo sulla gestione dell'emergenza all’inizio della pandemia. Dopo 3 anni di indagini infatti, il Procuratore aggiunto titolare del fascicolo, Maria Cristina Rota, insieme al suo pool di magistrati, ha individuato delle responsabilità precise nella gestione della primissima fase della pandemia che coinvolgono politici e pezzi delle istituzioni dello Stato. Responsabilità che riguardano due fatti evidenziati da subito dai familiari con gli esposti presentati in Procura: non avere istituito la 'zona rossa' nei comuni della Val Seriana, inclusi Alzano Lombardo e Nembro, "nonostante l'ulteriore incremento del contagio in Regione Lombardia registrato" il 29 febbraio e il 1 marzo 2020 e nonostante "l'avvenuto accertamento delle condizioni che, secondo il cosiddetto 'piano Covid', corrispondevano allo scenario più catastrofico" ha causato "la diffusione dell'epidemia da Sars-Cov-19 in Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro", si legge nell’ordinanza di conclusione delle indagini e la mancata attivazione del piano pandemico nazionale mai aggiornato dal 2006.
Sono dunque 19 gli indagati fra politici e tecnici fra i quali Giuseppe Conte, all’epoca Presidente del Consiglio e il ministro della salute Roberto Speranza dello stesso governo Conte. Gli atti per loro andranno a Brescia, ma il resto dell'inchiesta resta a Bergamo dove sono indagati anche il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera. Fra gli indagati ci sono il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo, Angelo Borrelli che era a capo della Protezione civile e l’allora direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito. Sono tutti accusati a vario titolo di epidemia colposa, aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti d’ufficio. L’inchiesta della procura orobica potrebbe allargarsi a macchia d’olio in tutta Italia perché ci sono vari filoni d’indagine.
Il consulente della Procura è l'attuale senatore del Pd Andrea Crisanti. Secondo i suoi calcoli si sarebbero risparmiati 4.148 morti con una chiusura della Val Seriana dal 27 febbraio, 2.659 dal 3 marzo. Si deve dimostrare chi avesse i dati per capire davvero la portata della pandemia. La procura ritiene che fosse a disposizione di Governo, Regione e tecnici dell’emergenza. Le proiezioni della Fondazione Bruno Kessler di Trento erano a disposizione dei comitati scientifici il 25 febbraio, ma non venne istituita una zona rossa a Bergamo come era stata fatta a Lodi. Le informazioni sono arrivate alla regione il 28 febbraio, dalla stessa fonte. Non viene cambiata però la scelta della Regione per le zone rosse, nonostante i dati sulla contagiosità: R0 a 2, ogni paziente trasmetteva il virus ad altre due persone. Solo il 5 marzo il ministro della Salute Speranza firmò un decreto per chiudere la Val Seriana.
Nell’inchiesta ci sono anche il mancato aggiornamento e la mancata applicazione del piano pandemico del 2006. C'è anche il caso dell'ospedale di Alzano chiuso e riaperto nel giro di poche ore.
«Da oggi - spiega Consuelo Locati, legale che guida il pool di avvocati dell'associazione dei familiari delle vittime - si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un'Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni». L’inchiesta è solo agi inizi.
Redazione sintony.it