
Il Natale viene raccontato come la festa della gioia, della famiglia e dei buoni sentimenti. Per molte persone, però, è diventato l’esatto contrario: un periodo segnato da ansia, spese obbligate e rituali consumistici difficili da sostenere. Ecco cinque motivi per cui, oggi, il Natale non è più sinonimo di serenità.

1. Regali come obbligo sociale
Negli ultimi anni in Italia, secondo Confesercenti-Ipsos, per il solo capitolo “regali” si stimano circa 9,5 miliardi di euro di spesa, con 20 milioni di consumatori coinvolti e una media di 250 euro a persona. Una pressione economica che spinge molti a spendere non per desiderio, ma per conformarsi. Chi si sottrae rischia di essere percepito come tirchio, depresso o antisociale.

2. Spreco alimentare fuori controllo
Alla corsa ai regali si affianca quella al cibo. Tra cenoni, pranzi e acquisti eccessivi, in Italia si stima che tra la Vigilia e Capodanno vengano buttate circa 575 mila tonnellate di alimenti, per un costo superiore ai 9 miliardi di euro. Un modello che produce sprechi, impatto ambientale e un picco stagionale difficilmente conciliabile con la retorica della sostenibilità.

3. Stress invece che festa
C’è poi lo stress psicologico. L’ASviS, Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, parla di “paradosso del Natale perfetto”: liste infinite, regali, ospiti, tavole impeccabili. La festa diventa una performance. L’ansia prende il posto dell’emozione e dicembre si trasforma nel mese con il più alto carico organizzativo e familiare.

4. Disuguaglianze più evidenti
Il Natale amplifica anche le differenze sociali. Non tutte le famiglie possono permettersi gli stessi regali o gli stessi pranzi. Una festa che promette inclusione finisce spesso per alimentare paragoni, senso di inadeguatezza ed esclusione, soprattutto per chi vive difficoltà economiche.

5. Il significato smarrito
Il senso originario, religioso o tradizionale, dovrebbe essere quello della condivisione e della solidarietà. Molti osservano invece come il Natale abbia progressivamente perso il suo nucleo simbolico, oscurato da sconti, pacchi e luminarie. Anche la dimensione spirituale fatica a trovare spazio nel rumore del consumo.
Non a caso nascono movimenti alternativi come il Buy Nothing Christmas, che invita a eliminare gli acquisti, o il Festivus, nato negli Stati Uniti come parodia del Natale iperconsumistico. Da qui anche la crescente simpatia per il “Grinch”: criticare il Natale non significa rifiutare affetti o tradizioni, ma chiedersi se questa festa sia ancora coerente con i valori che proclama.
Tra sprechi, stress e pressioni sociali, sempre più persone pensano che il Natale vada ripensato. Meno obblighi, meno facciata e più autenticità. Forse, per salvarlo, bisogna prima avere il coraggio di metterlo in discussione.
Letizia Demontis