Spesso, quando perdiamo qualcuno che amiamo, non sono i grandi momenti a mancarci di più, ma i dettagli: il suono di una voce, una risata, un profumo familiare. In quei momenti di assenza profonda, molti di noi vorrebbero soltanto un’altra occasione per parlare con chi non c’è più. È proprio da questo bisogno universale di comunicare oltre il silenzio che nasce in Giappone una delle storie più toccanti degli ultimi anni: quella del Telefono del Vento (kaze no denwa).
L’idea è di Itaru Sasaki, un uomo di Ōtsuchi, cittadina della prefettura di Iwate. Nel 2010, Sasaki perse il cugino a causa di un cancro. Il dolore della perdita e il desiderio di continuare a “parlare” con lui lo spinsero a un gesto semplice ma straordinario: acquistò una vecchia cabina telefonica e la installò nel suo giardino. Al suo interno collocò un telefono a disco, completamente scollegato da qualsiasi linea: un apparecchio muto, ma pieno di significato.
Ogni volta che ne sentiva il bisogno, Sasaki entrava nella cabina e sollevava la cornetta, per raccontare al cugino la sua giornata, per confidargli pensieri, per sentirlo ancora vicino. Lo chiamò “Kaze no denwa”, “Il Telefono del Vento”, perché, diceva, “le parole, anche se non arrivano, viaggiano nel vento”.
Un anno dopo, nel 2011, il Giappone fu devastato da un terribile terremoto di magnitudo 9.1 e dal conseguente tsunami che colpì duramente la costa orientale del Paese, causando migliaia di morti e dispersi. Ōtsuchi, la città di Sasaki, fu una delle più colpite: venne quasi completamente distrutta e perse oltre un decimo della sua popolazione.
Fu allora che Sasaki decise di spostare la sua cabina a Ōtsuchi, per permettere anche agli altri di vivere la stessa esperienza: parlare, nel vento, con chi non c’era più. Da allora, il Telefono del Vento è diventato un luogo di pellegrinaggio e conforto. Persone provenienti da tutto il Giappone — e, negli anni, anche dall’estero — hanno sollevato quella cornetta per confidarsi con un padre, una madre, un figlio o un amico perduto.
Oggi, a distanza di quindici anni, il Kaze no denwa è molto più di una cabina telefonica: è un simbolo universale di memoria e resilienza, un ponte tra chi resta e chi se ne va. La sua storia ha ispirato documentari, libri, opere teatrali e persino repliche in altri Paesi, Italia compresa, dove sono nate versioni simili del Telefono del Vento, per offrire uno spazio di parola e silenzio a chi affronta il lutto.
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