Una nuova inchiesta scuote il mondo dell’imprenditoria italiana. Ieri mattina, mercoledì 25 giugno, la Guardia di Finanza di Napoli ha eseguito misure cautelari personali e reali nei confronti di otto membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale di Original Marines Spa, nota azienda del settore abbigliamento con sede all’Interporto di Nola. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di falso in bilancio, indebita percezione di erogazioni pubbliche, esercizio abusivo di attività finanziaria e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Contestualmente, le Fiamme Gialle hanno proceduto al sequestro di beni per un totale di 37.195.932 euro, ritenuti il frutto dei reati contestati. L’operazione è stata coordinata dalla Procura della Repubblica di Nola.
Secondo quanto emerso dalle indagini, condotte tra il 2018 e il 2021, la società avrebbe alterato sistematicamente i bilanci aziendali, occultando perdite significative derivanti da crediti inesigibili verso i propri negozi in franchising. In particolare, si tratterebbe di esercizi commerciali in forte difficoltà economica, che non erano in grado di far fronte ai pagamenti dovuti alla casa madre.
Questa manovra contabile avrebbe permesso a Original Marines di mantenere un’immagine artificiale di solidità finanziaria, conservando l’accesso a linee di credito bancario e soprattutto evitando di essere classificata tra le “imprese in difficoltà”. Una qualifica che, se riconosciuta, le avrebbe impedito di ricevere due finanziamenti pubblici agevolati, garantiti dallo Stato, per un valore complessivo di 31,5 milioni di euro.
Non solo: l’indagine ha anche portato alla luce una pratica commerciale aggressiva adottata dalla società nei confronti dei suoi affiliati. Secondo gli inquirenti, Original Marines imponeva ai negozi in franchising l’acquisto forzato di merci, a prescindere dalle reali necessità commerciali dei singoli punti vendita. Una condotta che ha aggravato ulteriormente la crisi di liquidità degli esercizi, costretti ad accumulare magazzini invenduti.
Per arginare le difficoltà economiche create da questa strategia, la società avrebbe concesso finanziamenti diretti agli affiliati, senza però possedere le necessarie autorizzazioni previste dal Testo Unico Bancario. Una prassi che configura il reato di esercizio abusivo dell’attività finanziaria.
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