Una richiesta di condanna che pesa come un macigno e che, nelle intenzioni della Procura generale, vuole essere un segnale forte contro un delitto definito “inumano e barbara”. Nella giornata conclusiva della requisitoria nel processo d’appello per l’omicidio di Saman Abbas, la giovane pachistana uccisa nel 2021 nelle campagne di Novellara (Reggio Emilia), la procuratrice generale Silvia Marzocchi ha chiesto l’ergastolo con un anno di isolamento diurno per tutti e cinque i familiari imputati: padre, madre, zio e due cugini della vittima.
Secondo l’accusa, la morte di Saman fu l’esecuzione di una “condanna a morte” emessa dall’intera famiglia, colpevole – secondo i parenti – di aver rifiutato un matrimonio combinato e scelto, invece, di vivere liberamente. “È stata uccisa per aver rivendicato il diritto a decidere della propria vita”, ha affermato Marzocchi.
Il delitto, avvenuto nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021, portò alla sparizione della ragazza, il cui corpo fu ritrovato solo nel novembre 2022, sepolto in una serra poco distante dalla casa in cui viveva.
Condannati all’ergastolo in primo grado Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, padre e madre di Saman, considerati tra i principali istigatori. Danish Hasnain, lo zio, già ritenuto esecutore materiale dell’omicidio, ha rilasciato in appello dichiarazioni spontanee in cui ha nuovamente coinvolto i due cugini, Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, inizialmente assolti, ma ora tornati nel mirino dell’accusa. Secondo quanto riferito, i due avrebbero scavato la fossa e occultato il corpo della giovane.
Le indagini e i rilievi tecnici confermerebbero la presenza di almeno due persone nella scena dell’occultamento, rafforzando la nuova impostazione accusatoria.
Un passaggio delicato nella requisitoria ha riguardato il fratello minore di Saman, presente nel processo come testimone. Contrariamente alla sentenza di primo grado, che gli attribuiva un ruolo scatenante nella lite, la procuratrice generale lo ha difeso con forza, definendolo una “vittima traumatizzata, sacrificato dai genitori e costretto alla fuga”.
“Non ha mai contraddetto se stesso, né ha avuto interesse personale a testimoniare contro la propria famiglia. Le sue parole sono credibili e coerenti, e meritano rispetto”, ha dichiarato la pg Marzocchi.
Particolarmente toccante il passaggio dedicato agli ultimi giorni di vita di Saman, descritti come un “teatro dell’inganno”: dal 20 aprile fino alla notte dell’omicidio, la ragazza sarebbe vissuta in una finta normalità, “nella finzione di affetto che copriva il piano per ucciderla”.
“Se fosse stata collocata in comunità solo pochi giorni prima – ha osservato la procuratrice – oggi sarebbe ancora viva. Quel video in cui scherza con la madre è la dimostrazione di quanto Saman desiderasse rimanere parte della sua famiglia, ma a patto di poter scegliere liberamente”.
Nella sua requisitoria, la pg ha infine respinto con decisione ogni tentativo di ridurre Saman a una figura “ribelle o trasgressiva”, per giustificare le azioni della famiglia:
“Non possiamo accettare che venga letta come una giovane colpevole di voler amare. Saman non ha fatto altro che chiedere di vivere la sua vita, secondo i suoi legittimi desideri.”
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