Ventuno film in gara, ventuno storie dal mondo. E un solo rappresentante italiano a tenere alta la bandiera tricolore: Fuori di Mario Martone. È questa la fotografia della 70ª edizione del Festival di Cannes, al via martedì 13 maggio. Un’annata segnata da una selezione audace, fortemente sbilanciata verso il cinema indipendente e d’autore, con opere provenienti da ogni angolo del pianeta e firmate da registi noti e nuove voci. Tra i tratti più significativi: la presenza di ben sette registe donne e un equilibrato poker di titoli statunitensi e francesi.
Per l’Italia, occhi puntati su Mario Martone, autore di Fuori, unico film italiano in gara in un’edizione che si prospetta di grande densità tematica e sperimentazione formale. Un’impresa non da poco, quella del regista napoletano, in mezzo a un panorama che privilegia autori emergenti, narrazioni spiazzanti e contesti lontani dalla comfort zone del mainstream.
Dall’Unione Sovietica del 1937 al Brasile sotto la dittatura, dai paesaggi rurali del Montana alle visioni post-apocalittiche cinesi: il concorso 2025 è un caleidoscopio di epoche, luoghi e sensibilità. C’è il dramma storico Two Prosecutors di Sergei Loznitsa, dove un giovane procuratore sfida l’apparato repressivo staliniano. Tarik Saleh torna invece al Cairo con Eagles of the Republic, terzo capitolo della sua trilogia egiziana, mescolando propaganda, desiderio e pericolo.
Si muove su un registro più intimo Die, My Love di Lynne Ramsay, ritratto di una donna in frantumi nella solitudine della campagna americana. In un tono simile si inserisce Mother and Child dell’iraniano Saeed Roustaee, con la figura di un’infermiera vedova in lotta con un figlio irrequieto. Ari Aster porta invece il suo tocco oscuro in Eddington, dove una quarantena nel New Mexico si trasforma in incubo.
Il filone della denuncia è ben rappresentato da The Secret Agent di Kleber Mendonça Filho, ambientato nel Brasile del 1977, e da Dossier 137 di Dominik Moll, poliziesco incentrato su un’indagine interna alla gendarmeria francese. Joachim Trier, in Sentimental Value, riflette invece sulle dinamiche familiari e sull’eredità artistica in una famiglia divisa tra affetti e ambizioni.
Spazio anche alle nuove generazioni e alla prospettiva femminile: in La petite dernière di Hafsia Herzi, Fatima lotta per emanciparsi dalla tradizione familiare algerina. In Renoir della giapponese Hayakawa Chie, una ragazzina si rifugia nella fantasia per affrontare le difficoltà familiari. In Alpha di Julia Ducournau, il coming-of-age assume tinte cupe con il misterioso tatuaggio di una tredicenne inquieta.
Non mancano i racconti europei più lirici, come Romería di Carla Simón, viaggio alla scoperta delle radici familiari, o Sound of Falling della tedesca Mascha Schilinski, dove il tempo sembra dissolversi in una fattoria abitata da quattro ragazze. Dalla Cina arriva Resurrection di Bi Gan, visione fantascientifica con tratti emotivi e distopici.
Alcuni registi scelgono di dialogare con la storia del cinema: Richard Linklater omaggia la Nouvelle Vague con New Wave, girato in bianco e nero e in formato 4:3 come À bout de souffle di Godard. Kelly Reichardt con The Mastermind intreccia arte e guerra del Vietnam, mentre The History of Sound di Oliver Hermanus racconta l’America rurale tra Prima guerra mondiale e riscoperta musicale.
E poi c’è Wes Anderson, con The Phoenician Scheme: un’eredità da spartire tra figli eccentrici e un magnate sopravvissuto a sei incidenti aerei. Tra ironia e colori pastello, l’autore texano porta il suo inconfondibile tocco visionario sulla Croisette.
A rendere unica questa edizione è anche la forte presenza femminile: sette registe in concorso, un numero mai così alto, e una varietà tematica che riflette la complessità del nostro tempo.
@Redazione Sintony News