Che il calcio si diventato un’industria senza cuore lo si sapeva da tempo. Proprietà in mano ad americani, sauditi e qatarioti, fondi d’investimento miliardari che investono sullo sport più bello del mondo spogliandolo della poesia della maglia, dell’attaccamento ai colori, della magia del cuore. L’ultimo caso, uno di quelli che fa tanto rumore, è il licenziamento di Paolo Maldini dal Milan. Potranno piacere o no quei colori, ma che Paolo Maldini sia una bandiera e uno che di calcio ne mastica, non lo può negare nessuno. Ma non piace allo yenkee Gerry Cardinale patron di Redbird dopo l'acquisto da Elliot.
Insieme a lui lascia anche Ricky Massara, e sono loro i protagonisti di una rinascita del club che ha portato in quattro anni ad uno scudetto, una semifinale di Champions League e tre qualificazioni di fila nella competizione europea più prestigiosa. Insomma, un fiulmine a cile sereno, come l'addio di Ibra.
Vediamo cos’è successo. Diverse vedute nella gestione del Club e Maldini le ha dette “a cuore aperto” ad una proprietà americana che di calcio evidentemente ne capisce ben poco. La rottura si è consumata sulle richieste di Maldini di rinforzare la prima squadra. Mica sull’acquisto di birilli per il campo di allenamento. Sul rafforzamento della prima squadra!
Tutto è accaduto due giorni fa in un hotel al centro di Milano. Maldini ha incontrato Gerry Cardinale, poi ripartito per gli Stati Uniti. Sembrava un incontro di routine, invece è diventato un faccia a faccia molto teso. I temi sul tavolo erano tre, i soliti: budget, responsabilità e prospettive future del Milan. A quanto risulta, sull’ultimo punto è nata qualche frizione, con idee differenti tra Maldini e la proprietà. Ed è qui che tutto si è complicato: il Milan ha preso la decisione di terminare il rapporto con Maldini e il ds Frederic Massara. I risultati di questa stagione – semifinale di Champions e qualificazione alla prossima edizione – avevano fatto credere che tutto fosse stato sistemato. Invece, sono riaffiorati i soliti problemi di convivenza. In sostanza, il contrasto nasce dalle divergenze nei progetti per il nuovo corso e per la prossima stagione in particolare. RedBird non è soddisfatta del quinto posto, trasformato in quarto solo dalla penalizzazione subita dalla Juventus, e degli investimenti estivi, con De Ketelaere e Origi simboli di scelte che non hanno dato risultati sul campo.
Freddo l’AD Giorgio Furlani, che bada solo al business. “Nel nostro club analizziamo costantemente le strategie e i modelli più idonei per garantire che il Milan possa continuare a progredire dentro e fuori dal campo – ha detto -, per competere con le squadre leader d’Europa. Il primo fondamentale elemento, lo ripeto sempre è, e rimarrà, il calcio (no, scusa, pensavamo il basket o il baseball! ndr). Proprio con questo obiettivo abbiamo deciso un riassetto organizzativo che porta alla creazione di un gruppo di lavoro per la parte tecnico/sportiva (senza Maldini e Massara, sic! Ndr). La nostra priorità ora è consolidare e rafforzare i progressi compiuti negli ultimi anni, in tutte le componenti del club. La nostra ambizione non è cambiata, anzi si è fortificata: essere competitivi ai vertici del calcio europeo. Siamo sulla buona strada, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Mi auguro – ha concluso Furlani - che i nostri meravigliosi tifosi possano mantenere intatto e costante il supporto al club, e personalmente spero di poter interagire presto con i nostri fan, in modo che possano comprendere la nostra strategia, per continuare insieme a vedere crescere il Milan".
Ecco proprio i tifosi. Le multinazionali sanno che i tifosi non abbandoneranno mai i loro colori del cuore. Il calcio è l’oppio del popolo. Fa dimenticare problemi, sofferenze quotidiane, malattie e drammi. E il business ci sguazza: maglie e gadget a prezzi osceni, scarpe, tute, decine di maglie cambiate in una sola stagione, merchandising effimero sul quale le società lucrano per pagare i contratti miliardari ai giocatori. Un insulto alla crisi, alle decenza, alle sofferenze stesse di chi lavora tutta la settimana.
E infatti i tifosi scrivono, a pochi minuti dall'annuncio del licenziamento di Paolo Maldini, arrivano le prime proteste dei tifosi a Casa Milan. Due tifosi hanno mostrato due striscioni, su cui uno vi è scritto in inglese: "Cardinale, cosa ca**o stai facendo?!".
Così la pagina facebook “Milanisti nell’anima”: Sentiamo dire da più parti: “ Maldini ha sbagliato, non doveva dire certe cose pubblicamente screditando la proprietà”, riferendosi alle interviste fatte nel post euro derby, in merito al necessario rafforzamento della rosa. Chiariamo una cosa: nella forma Paolo Maldini può anche aver sbagliato (come a suo tempo può aver sbagliato Boban), ma se Paolo Maldini ha detto certe cose è solo perché ha il Milan nel cuore, molto più di Cardinale e tutto il suo staff messi insieme. Se Paolo Maldini ha tuonato il mese scorso contro la proprietà, così come fatto l’anno scorso a campionato concluso, è perché ha la mentalità vincente, molto più di Cardinale e di tutti i suoi azionisti votati solo al guadagno facile. Diffidate da certi giornalisti a libro paga, non mettetevi le fette di salame sugli occhi, non fatevi abbindolare: Paolo Maldini merita solo stima, affetto e applausi.
Questo invece l’analisi del giornalista Antony Muroni, di provata fede sarda e rossoblù e non certo milanista, ma come noi critico nel confronti di un calcio piegato ai soldi: “Quello che gli americani con i soldi non capiranno mai dell’Italia è che ci sono alcune cose - che afferiscono soprattutto ai sentimenti irrazionali e all’identità dell’appartenenza - che i soldi non possono comprare. Non è una cosa decisiva nel futuro dei cittadini o del sistema-Paese, ma lo psicodramma sul #maldiniout si spiega così: un americano che ha appena comprato il Milan non può licenziare una leggenda che incarna il Milan stesso. Senza quella leggenda, tu non sei più il Milan. Sei uno con i soldi - vedremo quanti - che sta ripartendo da zero”.
Redazione sintony.it