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10 Marzo 2023

Dice lesbica alla collega, la Cassazione: offesa punibile con il licenziamento

Per gli ‘ermellini’ giusta la decisione dell’azienda di licenziare il collega, 'qualunque scelta di orientamento sessuale merita rispetto'

A distanza di tre anni la Cassazione ribalta il verdetto dei giudici della Corte d’Appello di Bologna, che avevano considerato eccessivo il licenziamento per aver dato della lesbica ad una collega. I giudici avevano anche condannato l’azienda a versare venti mensilità al dipendente licenziato in tronco. La Corte di Cassazione è intervenuta su un caso del 2020 affermando che è stato giusto licenziare un dipendente per aver offeso una collega in base al suo presunto orientamento sessuale. Si tratta di una discriminazione.

Due anni fa un autista dell’azienda Tper, Trasporto passeggeri Emilia Romagna, rivolgendosi ad una sua collega disse: “ma perché sei uscita incinta pure tu? ma perché non sei lesbica tu?“, il tutto con fare irrisorio ed offensivo. L’azienda, dopo aver accolto l’esposto della dipendente, licenziò in tronco l’autista in quanto il suo comportamento era “gravemente lesivo dei principi del Codice etico aziendale e delle regole di civile convivenza“.

 

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L’autista fece dunque ricorso alla Corte d’Appello di Bologna e lo vinse. La Tper allora decise di fare a sua volta ricorso alla sentenza della Corte d’Appello di Bologna. La vicenda è finita dunque alla Corte di Cassazione che ha dato ragione all’azienda concludendo che la frase “come sei incinta tu? non sei lesbica?” non può essere considerata solo “una condotta inurbana” (definita così dai giudici bolognesi) ma è una vera “discriminazione” da sanzionare con il licenziamento in tronco.

Secondo gli “ermellini”, infatti, “la valutazione del giudice di merito nel ricondurre a mero comportamento ‘inurbano’ la condotta di M. M. non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell’ordinamento”. Per la Cassazione, non si tratta di “un comportamento contrario soltanto alle regole della buona educazione e degli aspetti formali del vivere civile” ma di una condotta “in contrasto con valori ben più pregnanti, ormai radicati nella coscienza generale ed espressione di principi generali dell’ordinamento”. Ora la Corte di Appello deve rivedere la sua decisione e verificare la sussistenza della giusta causa di licenziamento “alla luce della corretta scala valoriale di riferimento”.

Redazione sintony.it