«Sono vita. Non possiamo consentire che siano utilizzati per la sperimentazione oppure che vadano persi. Sarebbe omicidio». Così Papa Francesco, in un colloquio privato avvenuto a gennaio, si era espresso con il professor Sergio Alfieri, primario di chirurgia oncologica addominale al Policlinico Gemelli e suo medico personale.
Parole nette, decise, che ora, a distanza di pochi giorni dalla morte del Pontefice, emergono in tutta la loro forza morale e testimoniano l’ultimo, importante desiderio del Santo Padre: occuparsi degli embrioni abbandonati e concederli in adozione.
A rivelarlo è lo stesso Alfieri, che per la prima volta condivide pubblicamente dettagli inediti del suo rapporto profondo e affettuoso con Francesco, iniziato nel 2021 con un intervento all’addome e culminato con l’assistenza fino agli ultimi momenti di vita del Papa. «Il mio impegno adesso sarà, se ci saranno le condizioni, realizzare questo suo desiderio», ha detto il chirurgo, dando voce a un progetto che Francesco aveva appena iniziato a discutere anche con il ministero della Salute.
Alfieri parla del Papa al presente, come se la sua presenza fosse ancora tangibile: «Sabato dopo pranzo, alla vigilia di Pasqua, l’ho visto per l’ultima volta. Gli ho portato una crostata come piaceva a lui. Stava bene, me lo ha detto anche lui: “Sto molto bene, ho ricominciato a lavorare e mi va”».
Francesco non ha mai voluto smettere di essere il Papa, nemmeno nei momenti di maggiore fragilità. Il medico racconta come, pur con 60 giorni di convalescenza prescritti, il Santo Padre abbia voluto continuare il suo ministero fino all’ultimo istante. «È come se, avvicinandosi alla fine, avesse deciso di fare tutto quello che doveva fare», osserva Alfieri. Un comportamento coerente con l’immagine di un Papa pastore, determinato e consapevole.
Il momento della morte, lunedì mattina alle 5.30, è stato improvviso ma sereno. «Quando sono arrivato a Santa Marta, il Papa aveva gli occhi aperti, ma non rispondeva più. Era in coma. Ho capito che non c’era più nulla da fare. Voleva morire a casa, lo diceva sempre». Così Francesco è spirato nel suo appartamento, circondato dai suoi collaboratori più stretti, in un’atmosfera di preghiera e raccoglimento. «Gli ho dato una carezza come ultimo saluto», conclude Alfieri con emozione.
La storia tra Alfieri e il Papa nasce nel 2018, quando l’allora consulente della Santa Sede partecipò a una messa a Santa Marta. Ma fu due anni dopo, con i problemi di salute del Pontefice, che il rapporto si consolidò. Francesco lo scelse personalmente per l’intervento: «Mi disse: “Ho deciso di operarmi e ho scelto lei”».
Un momento toccante fu la benedizione delle mani prima dell’operazione. «Mi disse: “Usa le tue mani con il cuore nei prossimi anni”». Un gesto simbolico che segnava un legame più profondo, spirituale, tra medico e paziente.
Non solo medicina. Francesco incaricò Alfieri anche di salvare l’ospedale cattolico Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, minacciato dalla vendita. Con determinazione e l’aiuto del cardinale Zuppi e del cavalier Del Vecchio, l’operazione riuscì: «È stata la provvidenza», commentò il Papa, che non ha mai smesso di impegnarsi per la tutela della sanità pubblica e cattolica.
Ora, la questione degli embrioni rappresenta l’ultima missione lasciata in eredità dal Pontefice. «Vedremo se sarà possibile farlo con il ministro Schillaci e con il Vaticano», dice Alfieri. Un progetto delicato e ambizioso, che riflette l’etica della vita che Francesco ha sempre sostenuto.
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