Anche in Italia abbiamo il nostro "canepardo". Il suo nome è Nonsichiama ed è una mix Pitbull a cui è stato tinto il mantello rendendolo maculato per assomigliare quanto più possibile a un leopardo. Su Tik Tok i video che la ritraggono mentre passeggia con il suo umano ottengono migliaia di like e commenti, mentre chi la incontra per strada rimane esterrefatto per via del suo aspetto appariscente e innaturale. I passanti la guardano sbalorditi e poi si rivolgono al padrone, che alle domande dei curiosi risponde serio: «È un incrocio tra un leopardo e un cane». Alcuni credono a questa assurda teoria, altri no. Spesso chiedono di poter scattare una foto ricordo con lei.
Nei commenti i follower si dividono tra chi ritiene che si tratti di un maltrattamento e chi invece difende il mantello di Nonsichiama, sostenendo che i colori usati non nuocciano in alcun modo al suo benessere. Se da una parte c'è la speranza che il pet mate utilizzi effettivamente colori naturali (in alcuni video dice di essere un parrucchiere), dall'altra rimane un enorme dilemma, che va ben al di là del pelo e riguarda invece il motivo stesso per cui molte persone in tutto il mondo scelgono di modificare il colore del mantello del proprio cane.
La pratica per cui viene tinto il mantello degli animali, si chiama "artistic grooming" ed è una moda che attraverso toelettature estreme rivela, di fatto, il desiderio degli umani di ricevere attenzioni sfruttando l'aspetto di un altro essere vivente. Gabriel Feitosa, un uomo che vive a San Diego, negli Stati Uniti, ha fatto di questa passione un lavoro. Oggi si definisce un "Creative Groomer": ha oltre due milioni di follower su Instagram e una catena di negozi diffusa in tutti gli Stati Uniti.
I suoi stessi cani appaiono sui social talvolta pitturati di arancione (con le sembianze di Tigro, il personaggio di Winnie the Pooh) e altre volte di azzurro o rosa. Nell'ultimo anno, inoltre, ha lanciato una campagna di toelettatura gratuita dei cani di canile, sperando che l'aspetto appariscente possa aiutarli a trovare più rapidamente un'adozione.
Alle critiche che riceve su Instagram per la sua professione, Feitosa risponde con un video fissato in alto nel suo profilo (quindi considerato di particolare importanza): «Non è vero che questa attività è un maltrattamento dei cani. I miei clienti sono perfettamente in grado di vivere e di socializzare indipendentemente dal colore del loro mantello – e aggiunge – Ricevono addirittura maggiori attenzioni da parte delle persone che incontrano: che cane non desidera avere le nostre attenzioni?».
Ma il punto è proprio questo: anche ammesso che i cani non soffrano durante o dopo la toelettatura eccessiva a cui sono sottoposti, e trascurando il fatto che il mantello è un importante strumento di termoregolazione, ciò che rimane inadeguato è il bisogno stesso di rendere ridicolo l'aspetto dell'animale. Questa scelta, di fatto, presuppone un approccio utilitaristico ad un altro essere vivente che di questo intervento non ha alcun bisogno o desiderio.
Quando il mondo del cane incontra quello delle mode umane, gli effetti possono essere devastanti e non riguardano solo le possibili stravaganti toelettature e l'acquisto di gadget costosi. Nascono proprio in questa nostra debolezza anche le nuove razze caratterizzate da morfologie sempre più strane, come i cosiddetti "designer dogs" o, ad esempio, gli American Bully (talmente muscolosi da non riuscire quasi a sedersi). E sempre da questo mondo vengono anche i cappottini glitterati, le scarpe di marche famose e la pratica estrema della chirurgia estetica, capace di modificare completamente l'aspetto dei cani che un tempo serviva per evitare ferimenti durante la caccia o nei combattimenti e che oggi non è altro che un'arma per cambiarne l'aspetto a nostro piacimento.
Riflettendo su ognuna di queste abitudini viene quasi da dare ragione a Feitosa quando sostiene che i colori non rappresentino un serio problema. È vero, il fulcro del dilemma etico alla base di queste mode è ben più profondo e riguarda noi umani, ma soprattutto la nostra convinzione che il cane con cui passeggiamo non sia un soggetto, ma possa diventare un oggetto che attira sguardi per alimentare il nostro ego.
Marta Rachele Pusceddu