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12 Giugno 2020

Fase 3, le date di tutte le riaperture ma dell’Università neanche l’ombra

Gli atenei continuano a brancolare nel buio: sale studio chiuse, biblioteche inagibili e università serrate

Pensavamo che l’università sarebbe rimasta chiusa per una settimana e in fin dei conti non eravamo neanche così dispiaciuti all’idea di farci una vacanzina.

Era il 23 febbraio, giorno in cui gli studenti dell’Università di Bologna hanno ricevuto l’e-mail del magnifico rettore e la comunicazione della sospensione delle lezioni dal 24 al 29 febbraio, che poi è diventato 5 marzo, poi 18, infine data da destinarsi. Gli studenti dell’università di Cagliari, invece, hanno continuato a frequentare fino al 3 marzo, con sospensione fino al 15, poi fino agli ultimi del mese e infine a data da destinarsi.

Mentre, negli atenei più stimati le lezioni online venivano attivate immediatamente, fin dai primi giorni di emergenza, gli studenti di alcune facoltà di Cagliari, e come loro tanti altri, hanno dovuto attendere la fine di marzo per l’inizio della didattica a distanza, con gli esami che, poco meno di due mesi fa, continuavano a rimanere un’incognita: è il caso delle facoltà di medicina o di ingegneria.

Dall’inizio dell’emergenza, da quel 23 febbraio 2020, sono passati quasi 4 mesi e l’Università continua a brancolare nel buio.

Quel divario, di cui spesso si parla tra gli atenei più quotati (quali l’Alma Mater, il Politecnico o la Sapienza) e quelli che, a causa degli scarsissimi investimenti pubblici e privati, si ritrovano a occupare gli ultimi posti delle classifiche nazionali, è diventato sempre più netto. In un’Italia in cui, fatta eccezione per le università private, il diritto allo studio dovrebbe essere garantito dalla Costituzione, la disuguaglianza tra le università-aziende di serie A, concentrate soprattutto nelle regioni del nord, e quelle locali del centrosud, è diventata purtroppo sempre più tangibile.

Sia a causa di problematiche materiali legate alla connessione internet e ai dispositivi elettronici, sia a causa delle condizioni abitative spesso precarie tra gli studenti (che si ritrovano a condividere stanze doppie e perfino triple), il Covid-19 ha contribuito a marcare quel gap insormontabile tra alunni realmente beneficiari del diritto costituzionale e altri che, per cause di forza maggiore, quel diritto non lo possono esercitare.

Pochi giorni fa si vociferava riguardo la riapertura delle discoteche, rinviata infine a metà luglio. E ieri è arrivata la conferma del presidente Conte riguardo la ripartenza della Coppa Italia e la ripresa delle sale da gioco e bingo: delle riaperture necessarie, delle priorità evidentemente. Mentre vengono fissate le date per l’inizio del calcetto amatoriale (previsto il 25 giugno) e delle crociere battenti bandiera italiana (dal 14 luglio), dell’Università ancora nessuna notizia.

Così, a quattro mesi dall’inizio della pandemia, le sale studio continuano a rimanere chiuse, le biblioteche inagibili e le porte degli atenei serrate, con grandissime incognite per il prossimo anno accademico: didattica in presenza, didattica a distanza o mista? Nessuno lo sa.

Palese ormai da tempo la logica economica rilevante, l’Italia si ritroverà a fare i conti con una drastica fuga di cervelli e con un calo immane del numero di matricole: metà dei neolaureati è pronto a trasferirsi all’estero in cerca di lavoro e si prevede un calo del 25% circa sulle nuove iscrizioni universitarie.

Mentre sul web circola una petizione dal titolo “Riapertura delle università”, 870 docenti scrivono una lettera al ministro dell’università Manfredi: “La didattica a distanza è sbagliata, quella mista (blended learning) crea disuguaglianze inaccettabili. Gli studenti ora si possono incontrare con i docenti senza rischi in birreria o in pizzeria: perché non nelle aule?”. Così, dopo le manifestazioni di migliaia di studenti in centinaia di città italiane, ancora una volta accademici e alunni protestano compatti contro la nuova idea di università e di diritto allo studio.

Sebbene spesso alienanti, i corsi a distanza si sono rivelati indispensabili per salvare l’anno accademico in questi mesi di emergenza, costituendo spunti di riflessione nel grigiore della quarantena.

Ma queste soluzioni digitali mettono in discussione l’idea stessa dell’istituzione universitaria come eravamo abituati a conoscerla. Il mondo universitario non è riducibile alla sola frequenza delle lezioni e alla conoscenza tecnica, ma costituisce un luogo di aggregazione, socializzazione e sviluppo culturale, in un continuo intrecciarsi di rapporti umani e crescita interpersonale. L’università non è solo l’apprendimento pedissequo del sapere accademico ma tanto altro, irriducibile a una spiegazione virtuale o a un collegamento Skype.

Chiunque immagini queste nuove prospettive come utili, permanenti e proficue, evidentemente, non coglie il senso stesso dell’Università e della vita universitaria: il confronto con l’altro da sé in un continuo progresso reciproco, nell’idea di una società appena migliore di quella precedente.

@Grazia Enerina Pisano