La Corte di Cassazione ha messo la parola fine a una lunga vicenda giudiziaria che ha visto protagonisti il rapper Fabri Fibra e il cantautore Valerio Scanu. Con una sentenza definitiva, la terza sezione civile ha confermato la condanna per diffamazione pronunciata dal Tribunale di Milano nel 2016, stabilendo un risarcimento di 70mila euro a favore dell’artista maddalenino.
La vicenda risale al 2013, anno in cui Fabri Fibra – all’anagrafe Fabrizio Tarducci – pubblicò l’album Guerra e Pace, contenente il brano A me di te. In quella traccia, il rapper attaccava duramente il mondo dello spettacolo e dei media, facendo riferimento, in modo offensivo e allusivo, proprio a Valerio Scanu.
Sebbene il nome del cantante non fosse esplicitamente menzionato, i giudici hanno ritenuto che i riferimenti fossero inequivocabili e denigratori, lesivi della reputazione dell’ex vincitore di Amici e trionfatore del Festival di Sanremo 2010.
Scanu reagì subito per vie legali, sostenuto dai suoi legali che allora dichiararono: “La musica è libertà, ma insultare squallidamente una persona non è né musica né arte. Esprimere il proprio pensiero è un diritto, ma non quando sfocia nella diffamazione”.
Dopo una prima condanna a carico del rapper e della sua casa discografica, Universal Music Italia, la questione è approdata in Cassazione. La sentenza definitiva conferma la responsabilità di entrambi, riconoscendo il danno d'immagine subito da Scanu e imponendo un risarcimento economico.
La decisione rappresenta un precedente importante nel rapporto tra libertà artistica e tutela dell’onore individuale. Se da un lato l’arte e la musica possono essere strumenti di critica e denuncia, dall’altro – sottolinea la Corte – non possono trasformarsi in veicoli di offesa personale.
Il caso si chiude così, dopo più di dieci anni, con una sentenza che fa discutere, soprattutto nel mondo dello spettacolo, dove il confine tra provocazione artistica e diffamazione si fa sempre più sottile.
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