La Sardegna trema di fronte all’ombra dei dazi statunitensi. L’introduzione delle nuove tariffe sull’export agroalimentare verso gli USA, in vigore dal prossimo 2 aprile, potrebbe colpire duramente l’economia dell’isola, con perdite milionarie soprattutto nel settore caseario.
L’allarme arriva da Cia-Agricoltori Italiani, che ha presentato uno studio basato sui dati di Nomisma e dell’Ufficio Studi Confederale, evidenziando come la Sardegna e la Toscana siano le regioni italiane più vulnerabili.
Tra i prodotti più esposti c’è il Pecorino Romano, vera e propria eccellenza dell’agroalimentare sardo, che rappresenta il 90% della produzione casearia dell’isola. Con un valore di 151 milioni di euro di export negli USA, il 57% della produzione complessiva, il formaggio simbolo della Sardegna rischia un duro colpo.
Negli ultimi anni, il Pecorino Romano ha trovato una nicchia di mercato particolare negli Stati Uniti, utilizzato dall’industria alimentare per insaporire snack e patatine in busta. Tuttavia, con l’introduzione di un dazio del 25%, il settore americano dei chips e degli snack, dal valore di 2,5 miliardi di euro, potrebbe orientarsi verso alternative più economiche, minacciando la stabilità dell’export sardo.
L’export agroalimentare sardo dipende per il 49% dagli USA, il dato più alto a livello nazionale. Ancora più impressionante è il dato sui prodotti lattiero-caseari: il 74% delle esportazioni casearie dell’isola è destinato al mercato americano. Questo significa che l’introduzione dei dazi potrebbe compromettere in maniera significativa l’intero comparto produttivo, con ripercussioni economiche e occupazionali.
Anche altre regioni soffriranno l’impatto dei dazi. La Toscana si colloca al secondo posto tra le più esposte, con il 28% del proprio export agroalimentare destinato agli USA. Particolarmente vulnerabili risultano olio d’oliva (42%) e vini rossi Dop (33%), pilastri dell’economia toscana.
Il settore vinicolo italiano è il più esposto in valore assoluto: nel 2024, gli Stati Uniti hanno rappresentato il primo mercato mondiale per i vini italiani, con un giro d’affari di 1,9 miliardi di euro. I prodotti più a rischio includono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia (48% dell’export verso gli USA, 138 milioni di euro), quelli rossi toscani Dop (40%, 290 milioni di euro), i piemontesi Dop (31%, 121 milioni di euro) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni di euro).
L’introduzione di nuove tariffe potrebbe aprire il mercato a competitor internazionali, come il Malbec argentino, lo Shiraz australiano e il Merlot cileno, capaci di conquistare quote di mercato lasciate scoperte dal vino italiano.
Di fronte a questa minaccia, la Cia-Agricoltori Italiani chiede al governo di intervenire con urgenza per aprire un negoziato con Washington. Cristiano Fini, presidente della Confederazione, sottolinea che l’Italia ha più da perdere rispetto agli altri paesi europei: “Gli USA rappresentano il 12% del nostro export agroalimentare, un valore ben superiore rispetto a Germania (2,5%), Spagna (4,7%) e Francia (6,7%)”.
Secondo Fini, l’Italia deve guidare un’iniziativa a livello europeo per evitare che i dazi infliggano danni enormi alle imprese e ai lavoratori del settore. Oltre alla perdita diretta di mercato, l’aumento dei prezzi dei prodotti italiani potrebbe favorire il fenomeno dell’Italian Sounding, con falsi prodotti italiani che guadagnerebbero terreno sugli scaffali statunitensi.
@Redazione Sintony News