La possibile riforma dei medici di famiglia rappresenta un cambiamento significativo per il sistema sanitario italiano, con l'obiettivo di migliorare l'organizzazione della sanità territoriale e affrontare la cronica carenza di personale medico.
Attualmente sono liberi professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale (SSN), con l'obbligo di gestire un massimo di 1.500 pazienti (spesso superato in pratica). Operano principalmente nei propri studi privati.
Le Case della comunità sono strutture previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) per rafforzare la sanità territoriale. Ad oggi, ne esistono circa 400, ma l'obiettivo è arrivare a 1.430 entro il 2026. Tuttavia, molte di queste strutture soffrono della mancanza di personale medico.
Le principali novità proposte. I medici di base potrebbero diventare dipendenti del SSN, lavorando principalmente nelle Case della comunità, Ospedali di comunità, Centrali operative territoriali (Cot) o distretti. I nuovi medici sarebbero assunti come dipendenti, mentre i professionisti già attivi potrebbero scegliere se restare liberi professionisti o diventare dipendenti, ma con l'obbligo di lavorare un certo numero di ore all'interno delle strutture pubbliche.
La formazione specialistica per i medici di base passerebbe a essere di competenza universitaria, non più delle Regioni, con l’obiettivo di migliorare la gestione del personale e garantire una maggiore presenza nelle strutture territoriali per potenziare l’assistenza.
In molte Case della comunità non ci sono medici o pediatri di assistenza primaria. Questo problema è amplificato dalla carenza complessiva di medici e infermieri in Italia. La realizzazione di oltre 1.000 nuove strutture richiederà tempo, risorse e una gestione efficace per rispettare le scadenze del Pnrr. E il passaggio a un sistema di dipendenza dal SSN potrebbe incontrare opposizione da parte di alcuni medici, abituati all'attuale autonomia come liberi professionisti.
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