Papa Francesco sta nuovamente affrontando dei problemi di salute ed è lui a dare la notizia. Questa mattina durante la prima udienza con i Rabbini europei ha pronunciato queste parole: “Grazie di questa visita che a me piace tanto ma succede che io non sto bene di salute e per questo preferisco non leggere il discorso ma darlo a voi e che voi lo portiate".
Il Papa si è mostrato molto affaticato e non si è espresso oltre consegnando il discorso ai rabbini. Ha parlato della necessità di un dialogo per arrivare alla pace. "Non le armi, non il terrorismo, non la guerra, ma la compassione, la giustizia e il dialogo sono i mezzi adeguati per edificare la pace" ha sottolineato il Pontefice, per poi parlare anche dell’importanza del dialogo ebraico-cristiano, condannando poi le manifestazioni antisemite esplose dopo l’inizio del conflitto in Medio Oriente. Francesco oggi ha una fitta agenda di incontri a livello personale e udienze pubbliche. Nel pomeriggio è anche previsto l'incontro, in Aula Paolo VI, con settemila bambini provenienti da tutto il mondo, e non è chiaro se pur con fatica parteciperà agli incontri della sua fitta agenda. Non pensa però alle dimissioni, infatti mesi fa aveva detto che avrebbe considerato l’idea solo nel caso di "una stanchezza che non ti fa vedere chiaramente le cose, la mancanza di chiarezza, di sapere valutare le situazioni". L’appello contro la guerra è lo stesso che ha rivolto anche ieri, domenica 5 novembre, all’Angelus dove di fronte ai 23 mila fedeli in piazza ha chiesto un cessate il fuoco.
Tantissimi gli striscioni e cartelli che chiedevano di “fermare il massacro”, una richiesta che il Papa condivide appieno. Il suo pensiero va a Gaza e agli ostaggi di Hamas: “Si possano soccorrere i feriti e gli aiuti arrivino alla popolazione di Gaza dove la situazione umanitaria è gravissima” ha chiesto, aggiungendo che “Si liberino subito gli ostaggi. Tra di loro ci sono anche tanti bambini: che tornino alle loro famiglie. Ha ribadito di pensare ai bambini coinvolti nelle guerre, anche in Ucraina, in cui il conflitto è ancora in corso, implorando di “non uccidere il loro futuro”.
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