Basta con la violenza e la distruzione sistematica della lingua italiana in nome del politicamente corretto. E’ l’Accademia della Crusca che si esprime in merito. “Le moderne neuroscienze hanno messo in discussione il fatto che la lingua costituisca di per sé un condizionamento e un filtro rispetto alla percezione dei dati empirici reali”. Così l’Accademia tutrice della lingua più bella del mondo, la lingua di Dante, di Foscolo e di Manzoni, spiega il suo no a schwa e asterischi, introdotti abusivamente negli ultimi anni da poco dotti amanti del politicamente corretto e usati per richiamare l’inclusione di genere nella lingua italiana.
Dopo anni di ideologia politicamente corretta che non ha risparmiato nemmeno il linguaggio con schwa, asterischi, parole storpiate in nome dell'inclusività, finalmente la Crusca si esprime in modo netto contro questa deriva. Interpellata dal Comitato pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla scrittura negli atti giudiziari che rispetti la parità di genere, l’Accademia della Crusca ha risposto ai sostenitori della tesi che l’eliminazione della distinzione tra maschile e femminile porrebbe fine alla “ingiustizia storica” e direbbe addio alla logica patriarcale.
“Una simile concezione della lingua non è universalmente condivisa, e anzi c’è chi vede il pericolo di un eccesso di intervento”, ha aggiunto la Crusca. “I principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata alle mode culturali. D’altra parte queste mode hanno un’innegabile valenza internazionale, legata a ciò che potremmo definire lo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata”. Il riferimento, neppure troppo implicito, è all’offensiva culturale progressista sugli usi della lingua che dall’America si è diffusa ormai da diversi anni in Europa, compresa l’Italia. Che fare dunque, all’atto pratico? Senza dubbio, dice l’Accademia, scordarsi di introdurre nuovi segni fonetici “fuori luogo” come schwa o asterischi. «È da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati. Va dunque escluso tassativamente l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (“Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…”). Lo stesso vale per lo scevà o schwa». Obiettivi colpiti e affondati.
L’Accademia ha detto no a Schwa e asterischi al posto del genere maschile e femminile, ma anche all’articolo davanti al nome (la Meloni, la Bernini, la Schlein per esempio, ma anche “la Giulia” o “l’Alvise” di molte parlate regionali) e alle reduplicazioni retoriche (i cittadini e le cittadine, care italiane e cari italiani, amiche e amici, per esempio). Sì invece, al plurale maschile non marcato, “inclusivo” e ai nomi di professione al femminile (magistrata, pubblica ministero ecc). Dopo una discussione, la Crusca ha deciso che anche nella scrittura degli atti giudiziari si potranno usare termini al femminile (la giudice es.) ma ha escluso, almeno nel linguaggio giuridico, “l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato”.
In una lingua che come l’italiano possiede due generi, maschile e femminile, secondo la Crusca, “lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti”, non è “la reduplicazione retorica, che implica il riferimento raddoppiato ai due generi”. La soluzione è “l’utilizzo di forme neutre o generiche (per esempio sostituendo “persona” a “uomo”, o “il personale” a “i dipendenti”), oppure si può ricorrere al maschile plurale non marcato (per esempio: “tutti pronti?”, “sono arrivati tutti”), purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare”.
L’Accademia della Crusca dice la sua anche sull’uso degli articoli davanti a nomi propri: “Oggi è considerato discriminatorio e offensivo. Non entriamo nelle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata. Tuttavia, per quanto estemporanea e priva di motivazioni infondate, l’opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto”.
Il parere della Crusca, sebbene si riferisca al linguaggio giuridico, costituisce un duro colpo al politicamente corretto e al tentativo di modificare la lingua italiana con finalità ideologiche. A farne le spese sono non solo politici ma anche intellettuali e commentatori che hanno fatto del “linguaggio inclusivo” un tratto distintivo. Come in altri ambiti, anche nella scrittura di articoli, libri, messaggi o post sui social network, è avvenuta una radicalizzazione da parte di minoranze influenti e rumorose che, accecate dall'ideologia, vorrebbero cambiare la nostra società e accusano chiunque non sia d'accordo con loro di discrimazione. Dopo le parole della Crusca possono però smetterla con ridicolaggini linguistiche come lo schwa e gli asterischi e tornare a scrivere in italiano.
Redazione sintony.it