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3 Luglio 2020

Graziano Mesina dovrebbe ritornare in carcere ma è latitante

Arriva la conferma della Corte di Cassazione: condannato a 30 anni

Ieri sera la sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Graziano Mesina a 30 anni di carcere, respingendo il ricorso dei suoi legali. Una condanna ormai in via definitiva per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, giunta dopo l’arresto sull’isola nel 2013. Dopo il blitz, dalla Direzione Distrettuale Antimafia è stato riconosciuto come capo di due bande criminali attive tra isola e penisola. Bande criminali, o meglio vere e proprie associazioni per delinquere (art.416 Codice penale).

Le porte del carcere si riaprono per il famosissimo Graziano Mesina, scarcerato dopo la condanna in appello per decorrenza dei termini. Ma, ancora una volta, il ritorno in cella non è andato a buon fine: quando nella sera di ieri i carabinieri si sono presentati nella sua abitazione di Orgosolo, Mesina non c’era. Senza cellulare, impossibilitato a essere ritracciato, a 78 anni si è dato nuovamente alla macchia: l’ennesima latitanza per l’uomo più famoso di Orgosolo?

Gratzianeddu, orfano di padre e penultimo di dieci figli, ha sempre fatto discutere: considerato da alcuni alle stregue di Robin Hood, è diventato un vero mito. Per altri, tanti altri, invece, non resta che un efferato criminale, macchiatosi di atroci reati: dalle estorsioni alle minacce, fino al sequestro di persona. Graziano Mesina è la “Primula rossa” del banditismo sardo, associazione a delinquere che, in teoria, dovrebbe rifarsi al Codice Barbaricino, collocandosi nell’immaginario comune in quella zona di mezzo tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia, tra onore e disonore.

La vita in carcere dell’ultimo bandito comincia nel lontano 1956 in una Sardegna del secondo dopoguerra, abbandonata dallo Stato di diritto: a soli 14 anni fu arrestato per porto abusivo di pistola e oltraggio a pubblico ufficiale ma ottenne il perdono giudiziale. Il conflitto con la legge ha scandito tutta la sua vita, obbligandolo a trascorrere ben 40 dei suoi 78 anni dietro le sbarre. Anni intramezzati da continue evasioni: se ne contano ben 22, di cui 11 riuscite. Elementi e dettagli non marginali, ma che hanno contribuito ad alimentare gli aneddoti intorno alla sua figura, facendo di lui un vero e proprio eroe, un uomo d’onore, “l’ultimo balente” appunto.

Ma gli eroi solitamente non si macchiano le mani di sangue, non avvelenano la propria terra tessendo le file del traffico di stupefacenti, non vengono condannati per favoreggiamento di sequestro di persona. Infatti, sebbene le vicende risultino ancora oggi poco chiare, nel 1992 Graziano Mesina fu coinvolto nel sequestro del piccolo Farouk Kassam, a cui fu tagliato l’orecchio sinistro come prova della sua incolumità. Non si sa se Mesina fece davvero da intermediario per il rilascio dell’ostaggio (come da lui più volte dichiarato), ma rimane comunque la condanna.

Per 22 mesi, dal 1991 al 1993, nonostante la ferma opposizione da parte del giudice e ormai martire Giovanni Falcone, il presidente della Repubblica Cossiga espresse «avviso favorevole» alla concessione della grazia a Mesina, il quale si trovava in libertà vigilata condizionale su decisione del tribunale di sorveglianza di Torino. Quel periodo di libertà durò però ben poco: dopo soli 22 mesi trascorsi in gran parte nelle campagne natie di Orgosolo, il 4 agosto 1993 il tribunale di sorveglianza revocò la concessione della libertà condizionale dopo il ritrovamento di un kalashnikov e altre armi da guerra nella cascina in cui viveva. Sebbene Gratzianeddu si sia sempre dichiarato innocente, nel 1994 fu condannato a otto anni e sei mesi di reclusione dai giudici del tribunale di Asti.

Nell’estate del 1998 chiese un breve permesso per tornare nella sua Orgosolo per i funerali della madre, punto di riferimento per la famiglia. Anche lei donna carismatica e figura emblematica dell’immaginario collettivo: dopo la cattura di Gratzianeddu chiese “diecimila lire a posa” a fotografi e giornalisti accorsi a Orgosolo, “Mentre per le interviste dipende da giornale a giornale”. “Dovete capirmi” disse “gli avvocati costano e non è vero che siamo diventati milionari con la latitanza di Gratzianeddu, guardate le mani da muratore di mio figlio Nicola”.

Nel 1999 il suo nome ritorna sui giornali in seguito alla grazia concessa dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al suo difensore storico, l’avvocato e parlamentare del Movimento sociale italiano, Bruno Bagedda, condannato a 14 anni di reclusione per concorso nel sequestro e omicidio del giornalista Leone Concato, rapito in Costa Smeralda, nel maggio del 1977 e mai liberato nonostante il pagamento del riscatto di 400 milioni di lire.

Mesina dovrà attendere però il 2004 per ricevere la grazia, richiesta fin dai primi anni ’90. Così, uscito dal carcere di Voghera (PV), tornò a Orgosolo e, quasi fosse un vecchio amico, si recò in una visita informale al Consiglio regionale di Sardegna.

Ma sebbene sostenuto da molti celebri personaggi per il fascino della sua figura carismatica, tra questi anche l’abile penna Indro Montanelli, Graziano Mesina ancora una volta non riuscì a godersi la sua libertà e fu arrestato nuovamente nel 2013 per traffico di stupefacenti.

E ieri, nuovamente, per la “primula rossa” è giunta l’ora di tornare dietro le sbarre. Ma “l’ultimo bandito” si è dato alla fuga. Evidentemente, nonostante tutte le opportunità concessegli (dalla grazia del presidente della Repubblica alle misure condizionali), la libertà riesce a godersela solo da latitante.

@Grazia Enerina Pisano