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26 Gennaio 2021

Kobe Bryant, un anno senza Black Mamba

È passato esattamente un anno da quel tragico incidente in elicottero. Quella mattina, oltre stella NBA, persero la vita sua figlia Gianna e altre 7 persone

Era il 26 gennaio 2020, e il mondo non era abbastanza pronto per una tragedia di quella portata. Non si è mai pronti in realtà. Ma a causa di un incidente d’elicottero, quel giorno ci lasciò uno dei più grandi e famosi cestisti dell’NBA: Kobe Bryant. Nello schianto non morì solo lui, ma anche sua figlia Gianna, 13enne, e altre sette persone.

Kobe era solito viaggiare in elicottero. Quel giorno il suo velivolo era partito alle 9.06 dall’aeroporto JohnWayne di Orange County, a Los Angeles, ed era diretto a Thousands Oaks, dove era in programma la Mamba Cup, torneo organizzato dallo stesso campione. Il viaggio si rivelò complicato fin da subito, a causa delle condizioni meteo poco favorevoli. Per questo motivo, il pilota dell’elicottero aveva dovuto compiere delle brusche manovre, variando continuamente l’altitudine. Poi il dramma. L’impatto contro la collina di Calabasas, nell’area Nord di Los Angeles, avvenne dopo circa 40 minuti dal decollo.

Con l’ex giocatore e la figlia Gianna, c’erano anche: John Altobelli, la moglie Keri e la figlia Alyssa, 13enne compagna di squadra di Gianna Bryant. Poi Christina Mauser, assistant coach di Kobe nel team di Gianna, Sarah Chester e sua figlia Payton Chester. E infine il pilota del velivolo, Ara Zobayan. Tutti deceduti nello schianto.

Ed ecco, ancora una volta, la conferma di quanto il destino possa essere davvero crudele. Anche se, in questo senso, la rivista People, subito dopo la morte dell’atleta, ha rivelato uno retroscena quasi agghiacciante. Pare che Kobe e sua moglie Vanessa avessero un patto: non salire mai insieme su un elicottero. Una precauzione presa per non lasciare orfane le figlie in caso di incidenti. Le stesse figlie che oggi si trovano, purtroppo, senza un ottimo padre e un’adorata sorellina.

Kobe era figlio di Joe Bryant, un giocatore di basket che passò diversi anni in Italia tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Per questo Black Mamba trascorse un po’ di tempo nel nostro Paese, dai 6 ai 13 anni, rimanendo sempre molto legato al territorio. Parlava perfettamente l’italiano e spesso tornava nelle città in cui era cresciuto, sperando che anche le sue figlie potessero vivere un’esperienza simile alla sua.

Una storia finita troppo presto, come un libro a cui gli vengono strappate le pagine finali. Quella mattina lì ci lasciava un vero e proprio simbolo di forza, determinazione e passione per il basket. Ci lasciava un eccellente padre e un grande uomo. Ma le sue giocate, la sua agilità, la sua tecnica eccezionale… Beh, quelle rimarranno per sempre.

 

@Roberto Piras