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7 Settembre 2020

Festival di Venezia, il red carpet di "Assandira" di Salvatore Mereu

È sbarcato a Venezia il nuovo film del regista sardo Salvatore Mereu, "Assandira". Un giallo-thriller ambientato in Sardegna

Il giallo-thriller ambientato in Sardegna, con il tema del rapporto tra natura e progresso sullo sfondo, sbarca al Lido. Nel cast c'è l'81enne Gavino Ledda, l'indimenticato protagonista di "Padre padrone" dei fratelli Taviani. La trama ruota attorno a un incendio doloso che ha distrutto l'agriturismo Assandira, gestito da una coppia - lui pastore sardo e figlio di un pastore, lei tedesca, e in cui ha perso la vita l'unico figlio dell'uomo

Costantino Saru, settantenne, si aggira sotto una pioggia torrenziale attraverso i resti di quella che era la sua proprietà e che il figlio Mario aveva trasformato in un agriturismo, dandogli l'antico nome sardo di Assandira. Mario è morto, e così gli animali: cavalli, pecore, maiali, galline. E un magistrato è venuto ad investigare l'origine del rogo che ha reso Assandira "un niente di nessuno". La storia che precede quel rogo viene ripercorsa a ritroso, a partire da quando Mario e la sua compagna tedesca tornano dalla Germania, dove il figlio di Costantino aveva cercato lavoro. I due convincono Costantino a trasformare la sua proprietà in un "villaggio antichità" che mostri ai turisti stranieri l'antico stile di vita dei pastori sardi, che la nuora tedesca rilegge come "molto pittoresco". Ed è l'inizio della profanazione di una terra già abbondantemente sfruttata e derisa dal turismo del "continente".

Salvatore Mereu ha messo sangue, passione, dolore ed energia in questa storia di un uomo vissuto secondo i canoni di una tradizione atavica che gli è sempre stata ostile ma della quale conserva il rispetto.

Quello che per Costantino è vita, anche nella sua accezione più crudele, per sua nuora, i turisti curiosi e persino suo figlio diventa invece un gioco: ma "non si può fare gioco una cosa che è seria". Il regista-sceneggiatore cerca "il filo nascosto che collega le cose", o meglio il bandolo di quella matassa perversa che in Sardegna si attorciglia da anni strangolando i suoi abitanti. Purtroppo però il risultato filmico è altrettanto intorcinato e ridondante, e complica oltremodo una storia che aveva la sua cifra distintiva nella scena iniziale: dura, pura, e dritta al punto.

Invece la narrazione di Assandira affastella episodi di degrado che rendono a tratti macchiettistico sia l'interesse "antropologico" e voyeurista dei turisti che le reazioni dei sardi arretrati e disposti a svendere la propria cultura. L'effetto finale è confuso, come se Mereu avesse avuto bisogno di un maggior tempo di post produzione e di più chiare scelte narrative, e al contempo eccessivamente didascalico, impedendo allo spettatore di "fare di questa storia l'uso che vuole": un concetto negativo, quando si parla delle distorsioni contemporanee dello "storytelling", ma positivo se si applica ad un film che ha bisogno di sfumature e ambiguità.

Al centro c'è la figura granitica di Gavino Ledda, lo scrittore di Padre padrone, che porta con sè anche cinematograficamente il vissuto di quella storia. Al suo Costantino "è stato imparato a guardare sempre avanti, come i muli", e non riesce a fermare lo scempio che gli si costruisce intorno. "Per tutta la vita mi hanno detto di non lasciarmi andare al desiderio", dice, e quando il desiderio arriva in qualche misura ci cade dentro, contro il suo istinto naturale al rifiuto, e "impara la parte", pagando amaramente le conseguenze del suo "non capire, e poi accettare senza capire".


A dialoghi bellissimi come quelli appena citati, che fanno leva sulla fonte letteraria del film - il romanzo Assandira di Giulio Angioni - e alla bellissima fotografia di Sandro Chessa non corrisponde però una narrazione coesa, e il "fuoco dentro" che certamente anima Mereu rischia di apparire più fatuo che purificatore