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21 Luglio 2020

"Il sesso senza consenso è stupro": continua la battaglia di Amnesty

Troppe giustificazioni ma la donna continua ad essere vittima

Da sempre in prima linea nella lotta per i diritti umani, ancora una volta Amnesty International si batte per tutti e tutte noi, in vista di una società migliore. Comincia così la campagna #iolochiedo, con cui Amnesty Italia propone di adeguare la legislazione italiana agli standard europei: mentre gli altri paesi dell’Unione hanno inserito il discrimine del consenso all’interno del reato di stupro, l’Italia continua ad essere indietro anni luce. Ma ecco che dove non arriva lo Stato, arriva Amnesty che denuncia la deplorevole condizione italiana: “Il sesso senza consenso è stupro”.

Infatti, l’attuale legislazione italiana prevede che il reato di stupro sia necessariamente collegato alla violenza, alla minaccia o all'inganno. Ma, come stabilito dalla Convenzione di Istanbul ratificata nel 2013, lo stupro è un rapporto sessuale senza consenso. E, come approvato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 e firmata l'11 maggio 2011 a Istanbul, lo scopo è prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime e impedire l'impunità dei colpevoli.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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A differenza di altri paesi dell’UE evidentemente più all’avanguardia nell’ambito dei diritti umani, in Italia lo stupro viene definito mediante l’uso della forza, minaccia di uso della forza o coercizione, senza alcun riferimento al principio del consenso. Nel nostro paese, infatti, in nessuna delle norme che regolano i reati di tipo sessuale si fa riferimento al consenso (609-bis e ter del codice di procedura penale), formula proposta dalla Convenzione di Istanbul di quasi dieci anni fa.

Di fatto, secondo questa convenzione “il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto”.

Ma in Italia, democrazia della sfera occidentale in teoria garante dei propri cittadini, forse la mentalità è ferma ai primi anni del Novecento. Infatti, stando ai dati Istat del 2019, in pieno XXI secolo, persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. E circa il 23,9% pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire (23,9%). Il 15,1% crede nella corresponsabilità di una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe. Per il 10,3% della popolazione (di cui il 12,7% uomini e il 7,9%) spesso le accuse di violenza sessuale sono false; per il 7,2% “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì”, per il 6,2% “le donne serie non vengono violentate”. L’1,9% ritiene che non si tratta di violenza se un uomo obbliga la propria moglie/compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà.

Ascoltando i telegiornali, leggendo i giornali, ci si rende conto che le violenze sulle donne si verificano ogni giorno: nelle strade e soprattutto in famiglia, nel 2020 le donne sono ancora le ennesime vittime. Ma, come dimostrato dalla mostra “What Were You Wearing, Com’eri vestita?”, realizzata in Italia dall’associazione Libere Sinergie per sensibilizzare l’opinione pubblica, gli abiti erano i più comuni: dai blu jeans, alla minigonna, dalla tuta da ginnastica al giubbotto di modello maschile.

Violenze subite in quanto donne. Violenze troppo spesso giustificate ma che dovrebbero essere condannate in una società civile quale si dichiara l’Italia.  

@Grazia Enerina Pisano