Senza identità. Volto perduto, sguardo cieco. Pelle corrosa, bruciata da fuoco acido. Macchia indelebile di odio. Nuove legislazioni, deboli fragili difese di un sesso ancora umido di debolezza. Frammenti di Asia, di macrocosmi e povertà dove una tradizione di forza e uomini di acciaio, maschera un'identità di donna mai del tutto delineata. Siamo in Bangladesh, in Pakistan, in Cambogia, in India, in Afganistan. Ogni anno più di 1500 donne e bambine nel mondo subiscono un'aggressione da acido. Un bicchiere ripieno di disprezzo, gettato con brama di dominio. Molti paesi hanno ad oggi introdotto per gli aggressori pene decisive. Ma la messa in pratica appare difficile. I molestatori sono spesso giustificati e protetti, mentre le vittime si nascondono, paurose di un'infamia ben maggiore. Un bicchiere demolitore di personalità, scarnificatore esterno quanto causa di interiore massacro. Nuovo velo di vergogna posto sul capo di chi ha leso un onore, rifiutato una proposta di matrimonio o si è trovato in mezzo -quanto estraneo- ad una faida familiare. Non solo la perdita di un volto, ma soprattutto una profonda esclusione. Non più figlie, mai spose, estranee a una comunità che le rinnega. Una cecità improvvisa, chiome scure che non ricresceranno più, muscoli facciali dissolti: visi privati di espressione. Numerose le associazioni nate con lo scopo di restituire i sorrisi, una sembianza e un aspetto indelebilmente cancellati. La fondazione bengalese Acid Survivors e la Depilex Smileagain Foundation pakistana agiscono sui territori maggiormente a rischio, offrendo sostegno medico, psicologico e di reinserimento lavorativo. Le campagne contro la pratica dell' "acidificazione" contribuiscono a raccontare le storie, a diffondere le informazioni, a donare il coraggio di parlare a chi si chiude nel patimento e nella paura. Di notevole interesse emotivo i manifesti creati dall'artista Alexsandro Palombo. Principesse Disney, emblema di bellezza e di regale perfezione. Appaiono sfigurate, divorate anche loro, dentro quanto fuori. La foto del prima e del dopo, del bello e del disfatto, senza contorno: simbolo di una armonia, di una figura negata, di un'individualità difficile da ricostruire. Ma non impossibile. Come le principesse sono ancora riconoscibili, anche le altre vittime della cancellazione possono ritrovare il loro essere donna. Il fotografo Rahul Saharian nella serie di scatti intitolata Shoot for Beauty, ha immortalato i sorrisi delle sfigurate. Un inizio di reintegrazione. La designer indiana Rupa Saa ha invece creato, per il progetto Stop Acid Attack, una linea di moda che le vede testimonial. Obbiettivo: vincere il pregiudizio. Cercare la forza per smettere di nascondersi. Riappropiarsi del valore del proprio esistere. Camminare a testa alta sconfiggendo gli sguardi. Dame battagliere in sfida contro il risveglio del mattino. Quella realizzazione giornaliera dove gli occhi non si aprono, i profumi non si sentono più, il tatto rivela nuovamente, dopo il riposo, le cicatrici. Sunali Mukhejee, indiana. Ha perso la vista e l'udito. Dopo aver denunciato delle molestie è stata punita durante il sonno. Zakia, pakistana. Sfigurata fuori dal tribunale dal marito dal quale voleva divorziare. Maryam e Neda, iraniane. Aggredite da due motociclisti moralizzatori poiché malvelate. Solo una manciata in mezzo all' immenso esercito delle "acidificate". Padrone di un nulla. Lì dove una donna vale un quarto di uomo. Onorevole viaggio tra le essenze smarrite, alla ricerca di un soffio che vale ancora la vita.
Redazione Web: Alba Roberta Marini