Giovani seguaci corrotti da un’idea contro la vita. Portavoce di un Corano mal interpretato . Un’etichetta ben presto erroneamente incollata: Islam uguale terrorismo. Alla luce dei fatti di Parigi del 7 Gennaio 2015, la stampa di tutto il mondo si è scatenata in difesa non solo di una libertà di espressione ferita, ma soprattutto delle vittime di Charlie Hebdo e del supermercato kosher alle Porte de Vincennes. “Je suis Charlie” è una battaglia bianca. E’ un <No> feroce alle armi, alla guerra, alle discriminazioni, alle vite interrotte. O almeno così dovrebbe essere. Un inno al distacco, un rifiuto delle generalizzazioni e un obbiettivo comune: un estremismo placato e un mondo sicuro, dove la religione non può essere motivo di conflitto. Quel che è certo è che le controversie non siano solo religiose. Le guerre del Golfo, le nazioni islamiche occupate dall’Occidente, i nostri soldati in terra straniera e gli attentati dell’11 settembre 2001 sono solo i precursori di una lotta globale, dove politica, terrorismo, povertà contro risorse, si intrecciano tra loro determinando un futuro incerto. La bomba è presto esplosa. Isis e Al Quaeda unite, nella seppur grande diversità, verso una meta comune: la jihad. Il massacro di Parigi: una spedizione punitiva. Chi lede l’onore di Allah merita di morire e i portatori del messaggio divino hanno il diritto di uccidere e di sacrificarsi per una causa intinta nel fanatismo ideologico. E mentre l’allarmismo si diffonde e altre minacce potrebbero essere effettivamente in agguato, le polemiche non mancano. Chi si espone in difesa di un popolo ingiustamente colpevolizzato, chi punta il dito su una comunità intera e spinge per una chiusura delle frontiere. Già l’8 Gennaio i giornali italiani si sono sbizzarriti a suon di “ Questo è l’Islam” e “Macellai islamici”. Parole forti, una visione limitata di una cultura complessa e variegata. Anche le dichiarazioni dei politici non si sono fatte attendere. Matteo Salvini, Lega Nord, non solo si espone su twitter con l’ashtag “#Stopinvasione”, ma dichiara: “l’Islam è pericoloso. Ci sono milioni di persone in giro per il mondo, e anche sui pianerottoli di casa nostra, pronte a sgozzare in nome dell’Islam”. Se la visione dei nostri maomettiani dirimpettai armati di coltello ( o forse meglio di kalašnikov) proprio sotto le nostre case non convince, un’erba stretta in un unico fascio appare un’idea ancor piu implausibile. In un’Italia dove l’Islam è la seconda religione per numero di adepti dopo il Cristianesimo, stupisce come un’organizzazione così integralmente radicata non abbia ancora agito. I dibattiti si acuiscono anche Oltreoceano. Ruper Murdoch, imprenditore australiano fondatore e proprietaro della News Corporation, avrebbe così dichiarato su Twitter: “ Forse la maggior parte dei Musulmani sono pacifici, ma fino a quando non distruggeranno il crescente cancro jihadista dovranno essere ritenuti tutti responsabili”. La risposta di J. Rowling, autrice della saga di Harry Potter, è stata esemplare: “Sono nata cristiana, se questo rende Murdoch una mia responsabilità mi scomunico da sola. Allora l’Inquisizione Spagnola è stata colpa mia, così come tutta la violenza del fondamentalismo Cristiano”. Non ha tutti i torti la Rowling che fornisce con il suo tweet un chiaro spunto di riflessione. Bersagliare l’ ”estraneo” è facile. Di quanto sangue versato in nome del nostro Dio dovremmo allora sentirci colpevoli? Dalle lontane Crociate fino ai più recenti massacri ugandesi dell’ “Esercito del Signore”. Matrice cristiana e fondamentalista, così come gli omicidi dei medici abortisti John Bayard Britton (1994) e George Tiller (2009), ad opera di militati nel movimento cristiano estremista “Army of God”. La lista è ancora lunga e la lezione è trasparente: riconoscere le mele marce e separare i fasci. Il Cristianesimo non è terrorismo. Islam n’est pas Isis.
La redazione Web: Alba Roberta Marini