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3 Dicembre 2014

Abusi edilizi a Sant’Elia

Abusi edilizi a Sant’Elia: tra illegalità e ultime chance

Una casa per Maria

I palazzi si fanno alti, grigi. Il buio è ingombrante, la massa formata dalle abitazioni raggruppate trasmette una plumbea oppressione. La Via Schiavazzi procede lunga, il paesaggio non muta. Un respiro affannoso quello di chi si sente estraneo, in un microcosmo di moltitudini allo sbando. Alla fine del rione uno stralcio di lungomare, a ricordo del porticciolo dell’antico borgo dei pescatori, dove si erige fiero il Lazzaretto, dal 2002 nuovo centro culturale. Siamo al quartiere di Sant’Elia, uno dei più famosi –suo malgrado- della città di Cagliari. Due facce della stessa medaglia. Da una parte un museo ristrutturato, modesta presenza, abitante discreto di un golfo protagonista dal colore blu intenso. Dall’altra il mare che fa da comparsa, piccola vista sfocata oltre i palazzi scuri. Una bella cornice per un quadro che pare impolverato. Strade sporche, vie dimenticate. Ma la realtà non è là fuori. La realtà è dentro gli alloggi, dentro l’animo delle persone che vi abitano. Tra le famiglie, tra i bambini, tra chi –schiacciato dai costi di una cara esistenza- ha ottenuto una casa e una vita, o tra chi –biasimabile o meno- con la forza ha deciso di prendersele. Sant’Elia non è solo criminalità. Lo spaccio, le auto e i cassonetti che bruciano, le rapine e le estorsioni sono dati di fatto. Ma si staglia all’orizzonte un altro problema, stavolta più sociale, non propriamente criminale: l’abusivismo. Non solo cercatori di un affitto “gratis”, ma anche famiglie senza lavoro con figli a carico, invalidi, anziani e anziane senza pensione. Una realtà che fa paura. Graduatorie infinite per ottenere il diritto di un tetto e la propria dignità di uomo o di donna. Bandi poco frequenti, mancanza di un numero appropriato di alloggi. Eppure le case sfitte spesso ci sono e, in un quartiere popolare dove il tasso di natalità è molto alto, c’è chi, senza supporti e senza possibilità, decide di occupare. < Sono andata via di casa a 12 anni, nessun appoggio e rapporti difficili con la mia famiglia. Non sapevo dove andare e, quando io e il mio compagno abbiamo saputo che c’era un appartamento sfitto nella palazzina dove vivevamo da bambini, abbiamo deciso di sfondare>. Parla Maria –così la chiameremo- giovanissima, una vita difficile e quattro figli. L’entrata dello stabile della ragazza è prepotente, simbolica. Odori forti, luce fioca, scale labirintiche di cui non si intravede la fine, un piccolo ascensore. La sua casa è invece pulita e ordinata, pareti colorate e un mobilio minimale ma confortevole . L’ha arredata come se fosse sua, con l’aiuto di qualche parente lontano. L’occupazione è avvenuta l’anno scorso, quando il suo terzo bambino aveva solo pochi mesi. Ora un altro figlio è appena nato e le lettere di sfratto e le denunce sono aumentate. < Io non me ne vado. Se mi sfrattano pretendo una casa come tutti gli altri>. Non ha intenzione di andarsene Maria che, dopo aver occupato, ha perso il diritto di rientrare nella graduatoria delle assegnazioni. < Avevo fatto richiesta per una casa popolare e addirittura per avere una casa- parcheggio >. Situazione drammatica. A non avere una dimora fissa in cui stare sono in tanti, troppi. E Maria, nonostante la precarietà di una momentanea soluzione, appare felice della sua scelta che- escludendo le varie problematiche - le ha permesso di vivere serenamente coi suoi figli. Come abusiva non ha più i requisiti, secondo le nuove normative, per usufruire dell’energia dell’Enel: <Mi hanno staccato la luce questo mese, ma ho trovato soluzioni alternative. Per fortuna almeno il contatore dell’acqua è comune a tutto il palazzo, quindi non possono staccare l’allaccio>. Rimedi raffozzonati a parte, la minaccia dello sfratto incombe in sordina e si cerca di difendersi, di affilare le unghie per tener stretto ciò che di fatto non è proprio, ma che nel profondo si desidera mantenere. Emblematica forza di chi lotta, per sé e per i propri cari. Un futuro da poter costruire : diritto e non maledizione.



Alloggi e case parcheggio: la lumaca Burocrazia

Ricevere un alloggio sociale E.R.P è facile, o almeno così sembra, se si legge la normativa vigente; presentare una domanda di assegnazione quando il comune indìce l'apposito bando, attendere l'uscita della graduatoria di assegnazione definitiva stilata dalla Commissione comunale, entrare in possesso dell'alloggio. Ma se i vari passaggi della normativa sono espressi con chiarezza, non possiamo dire lo stesso della durata in cui consiste ognuno di essi, specie l'ultimo. Entrare in possesso dell'alloggio è infatti un traguardo che, per i richiedenti, potrebbe non arrivare mai. Burocrazia lenta, graduatorie ormai sature, liste d'attesa lunghissime, case sfitte ufficilamente assegnate ma non consegnate ai richiedenti: sono questi i motivi che incentivano l'abusivismo. Una piaga, questa, diffusa particolarmente nelle grandi città (Roma e Milano) e nelle regioni del Sud, connessa da una parte alla forte tensione abitativa delle aree urbane che spinge molte persone a soluzioni estreme e cioè a "sfondare" prendendo possesso abusivo dell'abitazione, dall’altra, alla carenza di controlli capillari sul territorio e alla scarsa incisività delle azioni repressive. Inoltre il fenomeno è alimentato, in molte regioni, dall’abitudine di emanare periodicamente dei provvedimenti di sanatoria, che generano negli occupanti illegali l’aspettativa di poter essere prima o poi regolarizzati. In questo modo si alimentano anche fenomeni malavitosi connessi con aggregazioni di elementi criminali ("cosche") che organizzano la “vendita” degli alloggi lasciati liberi dagli occupanti o addirittura espropriano della casa soggetti deboli come gli anziani ammalati o soli. Ma la normativa non perdona: "Non possono presentare domande di assegnazione coloro che hanno ceduto – o venduto- un altro alloggio di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) già ottenuto in locazione" (Legge Regionale n. 13, 6 aprile 1989). Esclusi ovviamente anche coloro che occupano case sfitte. E poi c'è la questione delle case di risulta o case- parcheggio da destinare a chi vive situazioni socio-abitative particolarmente gravi. Sono case prive degli standard abitativi perchè di soli 45 mq, a volte meno, sono dei veri e propri tuguri che il più delle volte “accolgono”, stipate, anche quattro o cinque persone. Di norma i nelle case parcheggio l’affitto mensile si paga in base al reddito e in molti casi si paga una cifra che si aggira tra i dieci e i venti euro che però sale alle stelle in caso di ritardi attraverso un canone sanzione, un delirio che diventa un incubo con l’arrivo delle cartelle di Equitalia. Ma anche per la richiesta di questi mini-appartamenti privi di ascensore, in balia del degrado e spesso invasi dalle blatte, la musica non cambia; liste d'attesa infinite per ottenere una sistemazione e bandi pubblicati in maniera saltuaria. L'abusivismo è un fenomeno illegale e tale rimane, ma il sistema non funziona ed è colpevole. Dietro un' occupazione abusiva c'è un grido disperato, il "non sapevo dove andare" di Maria e di tanti che come lei lottano per avere un tetto sopra la testa. Questi palazzi bui sono stanchi delle promesse e delle bugie, di fondi che vengono stanziati ma di fatto non utilizzati per la valorizzazione del quartiere. Sono stanchi del degrado, della mancanza di servizi, di essere puniti perchè la casa, così come il lavoro, è un diritto di tutti, anche di chi vive in un quartiere difficile e grida aiuto senza essere ascoltato, o comunque non abbastanza. Perchè non ci si può ricordare di Sant'Elia solo la domenica quando si va allo stadio.

La Redazione Web: Alba Roberta Marini e Giulia Onano