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20 Ottobre 2014

Quando lo specchio deforma

Il riflesso della mente

Giovani vite, figure esili dai contorni indistinti o figure più piene ma altrettanto sfocate. Ragazze e ragazzi che si incamminano verso un <essere adulto> orientato a un raggiungimento di perfezione. Il corpo, inteso come contenitore, si fa portatore di un disagio, un vuoto da colmare, un desiderio di imitazione. Anoressia e Bulimia nervosa colpiscono in Italia circa il 2% della popolazione femminile e in percentuale minore quella maschile. Così insorgono i disturbi, in età precoce: il picco è tra i 15 anni, dove è l’inizio della pubertà a far paura, e i 18 anni, quando l’autonomia e il diventare grandi scatenano il fantasma dell’ansia per il futuro. Passaggi che segnalano il cambiamento, uno stadio in cui corpo e mente si modificano, quando il pensiero è più sensibile alle mancanze, fisiche, affettive o familiari che siano. L’insicurezza fa capolino, la ricerca di un ideale irraggiungibile crea frustrazione. L’individuo, affetto dal “male della nuova era”, si lascia trasportare in una guerra dove è il cibo ad essere il nemico. Le adolescenti hanno una gran paura di ingrassare e continuano a chiedere conferma del loro peso che vedono aumentare a torto. Inizia il circolo vizioso, il sali e scendi dalla bilancia dà dipendenza. Il rapporto con lo specchio si fa conflittuale: il riflesso non corrisponde, non rappresenta realmente ciò che si è, ma solo una trasposizione di come ci si sente, schiacciati da un peso che non è di certo quello corporeo. < La scarsa autostima, una paura eccessiva di non piacere, una delusione d’amore, una sofferenza familiare possono causare la comparsa della malattia, ma – afferma la Dott.ssa Luisa Zurru, psicologa e psicoterapeuta - è soprattutto l’imitazione di un modello come quello delle ragazze in passerella, imposto dalla società moderna, ad annoverarsi tra i principali fattori di rischio>. Visi scarni, corpi magri e magrissimi, linee slanciate ma fragili, dallo sguardo spento. Ideale della nuova e “grande” bellezza che si è modificato nel corso dei tempi, fino ad incarnare lo scarno come perfezione, fino ad identificare il magro uguale bello come ricetta della realizzazione personale. E se il dolore fisico inflitto con le rinunce, con l’eccessiva attività fisica, con le abbuffate, con il vomito autoindotto alimenta le pene di un corpo che si odia, il senso di inadeguatezza causato da un obiettivo mai saziato, ciba le menti disordinate in cerca di una ragione per perseverare. La socialità si azzera, si vive per non -o per- mangiare, i disagi psicologici si sommano a quelli di salute. <Sono stata anoressica per 2 anni> parla Giulia, testimone vivente di una possibile guarigione <Ero alla continua ricerca della perfezione in tutto. Sono entrata in un vortice assurdo di cui non capivo l’entità. Meno mangiavo, più mi allenavo, più mi sentivo forte, ma non riuscivo mai a piacermi. Ho perso e rovinato una marea di amicizie a causa dei “no” alle uscite, alle pizzate in compagnia…Farmi vedere mangiare era sinonimo di debolezza. Ho passato due anni senza ciclo, non avendo la gioia di sentirmi donna, ma soprattutto viva>. I rapporti si perdono, la cerchia si stringe finché la solitudine opprime. Il cibo o il digiuno non colmano le carenze di un’anima ossuta, in continua rincorsa di un mito che si allontana. Soli, inadeguati, succubi di una dipendenza che scarnifica, dentro e fuori. Storie di denuncia, racconti di mondi interiori di chi convive o ha convissuto con un dolore capace di uccidere lentamente e subdolamente. < I miei genitori hanno cercato di portarmi in cura diverse volte, ma senza risultati. Stavo diventando apatica, spenta, annoiata dalla vita –prosegue Giulia- Da quel momento sono iniziate le abbuffate compulsive. Mangiavo di tutto senza sosta, senza sentire sapore, per farmi del male. Non ho mai ricorso al vomito, ma mi allenavo per ore, fino non bruciare più calorie, ma la mia stessa essenza. Quando mi sono accorta che mi stavo lasciando morire, ho deciso di chiedere aiuto, di mia spontanea volontà. Ho avuto la fortuna di incontrare una psicologa bravissima, che mi ha insegnato a riconoscere le mie emozioni e a controllarmi senza necessariamente scagliarmi sul cibo>. E mentre sul web impazzano i blog pro-ana e mia che elargiscono consigli sui migliori metodi per non sentire la fame, sui migliori purganti e il miglior modo per procurarsi il vomito, c’è chi come Giulia –ormai guarita- si fa portavoce e aiutante di quelle ragazze smarrite, bisognose non solo dell’aiuto del terapeuta, ma anche della vicinanza di famiglia e amici. Perché ciò che nutre non può distruggere, questa la sua battaglia, a favore di un sano rapporto con il cibo e del piacere di una tavola imbandita con alimenti buoni e genuini. Un buon esempio che si fa beffa della società dell’immagine: salute in prima linea, magro non è bello, ciò che si mostra non è più importante di ciò che si è.
Redazione Web: Alba Roberta Marini