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20 Ottobre 2014

"Ci vediamo in tribunale", dissero mamma e papà

Rivolta dei padri davanti ai tribunali. Diritti e doveri per ottenere l'affidamento

C'era una volta l' “Associazione dei padri separati” che, dopo aver lottato a lungo, ottenne finalmente la legge sull’affido condiviso: la legge n. 54 del 2006. Credevano di poter dire alla moglie che voleva o subiva la separazione: “Adesso, con questa legge, non ti dò più l’assegno: dividiamo tutto quello che si spende per il figlio”. Ma qualcosa è andato storto. Mercoledì 15 ottobre a Cagliari, come in altre venti città italiane, è stato organizzato un sit-in davanti al Tribunale dei minori e al Palazzo di giustizia per chiedere l'applicazione concreta della legge sull'affido condiviso e una maggiore tutela dei diritti dei minori nelle separazioni. In particolare, i padri denunciano di essere penalizzati e di vivere la condizione di "papà fantasma" e "papà bancomat", dal momento che l'affido sulla carta è condiviso, ma il bimbo sta per lo più con la madre. Se, con la separazione, i bambini sono affidati più frequentemente alla mamma rispetto al papà, è perché è lei, anche se va a lavorare, che si occupa maggiormente del figlio e lo segue in casa, nello sport, nei compiti. E, ovviamente, se un genitore si disinteressa del figlio, non può pretendere l’affidamento condiviso. I giudici dispongono, si, dell’affidamento congiunto, ma siccome il bambino non si può dividere in due, deve avere una sola residenza (per la scuola, il medico della mutua, ecc.) e viene “collocato” presso la casa di un genitore. E poiché all’affidatario, cioè alla mamma, resta la casa coniugale, molti padri, anche se non si sono mai occupati quotidianamente dei bambini - magari anche se non per loro volontà, ma per cause di lavoro - si sentono vittime della separazione, perché si trovano fuori casa, e per di più, devono pagare un assegno alla moglie per il mantenimento, perdendo il controllo su come viene speso benché, nella maggior parte dei casi, sia molto modesto. L’ affidamento dei figli, non è un “premio” per il genitore affidatario, ma una responsabilità. E quindi, i genitori non dovrebbero mai dirsi, l’uno contro l’altro, quando si separano “Ti porto via il figlio”. Con questa minaccia infatti, toglierebbero al loro bimbo il genitore che lui conosce e accetta ed ama, di cui ha bisogno per crescere serenamente. La legge dice che i bambini, nonostante la separazione dei genitori, hanno “il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi”. Allora, i genitori, quando si separano, hanno il dovere, di collaborare al fine di far crescere nel migliore dei modi i figli, secondo le regole convenute o date dal giudice, e queste regole devono essere osservate. Diversamente, la legge, prevede che il giudice possa cambiarle, nell’interesse del figlio e che possa sanzionare il genitore inadempiente: sanzioni che vanno dall’ammonizione, al risarcimento dei danni a favore del figlio o a favore dell’altro genitore, alla multa (da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro). Ma la sanzione può essere data anche se non viene riscosso l’assegno di mantenimento. Chi è “collocatario” del figlio, e quindi ha più continuità di vita con il bambino, non deve sparlare dell’altro genitore e distoglierlo da lui, come fanno le mamme che soffrono di “Sindrome della Madre Malevola”, secondo uno studio negli Usa: al contrario, deve fare in modo che il bambino lo frequenti. Alcuni tribunali hanno sanzionato le mamme, a causa di comportamenti volti ad impedire al padre di frequentare i propri figli. Se, come avviene sempre più spesso, anche i giovani padri si occupassero veramente di crescere i figli, diventerà naturale che, con la separazione, possano assumersi la responsabilità dell’affidamento. Ma non si può fare di tutta l'erba un fascio. È di quest'anno il caso della mamma scappata con il suo bimbo dall'Italia direzione Slovacchia, il suo paese d'origine dopo aver ricevuto un esito a lei negativo dal tribunale italiano. Il papà, romano, ha iniziato la sua battaglia legale nel 2008 che è terminata con l'affidamento esclusivo alla madre in Slovacchia. L'uomo non vede il figlio da sette anni, dal giorno in cui la donna fuggì compiendo un reato, ma perfino la condanna a un anno di carcere per sottrazione di minore nei confronti di quest'ultima, si è rivelata di fatto inutile. E il padre, ha perfino difficoltà a comunicare con il bimbo telefonicamente perché lui non parla l'italiano. È fin troppo scontato affermare che le coppie che entrano in Tribunale con un altissimo livello di conflittualità ne escono con un livello ancora più alto. Il conflitto giudiziario infatti è basato sulla logica del vincitore e del vinto. Ma in un panorama fatto di giudici, tribunali, leggi, visite settimanali e trasferimenti, chi ci rimette sono prima di tutto loro: i figli, trattati come un trofeo da vincere, e che meriterebbero solo l'amore e il calore di una famiglia unita.

La redazione web: Giulia Onano