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13 Settembre 2012

Alcoa, "non molliamo, resteremo qui

Alcoa, "non molliamo, resteremo qui. E' una partita troppo importante per il Sulcis"

Non mollano, perché la partita, questa volta è troppo importante. Di mezzo ci sono gli operai, le loro famiglie, il futuro dei figli e i mutui che pesano sulle proprie abitazioni insieme a tasse ed accise. I sindacalisti barricati sulla cima della torre non hanno alcuna intenzione di cedere.

Con la determinazione di una protesta che va al di là delle ideologie professionali per entrare sugli aspetti umani di questa contorta vicenda, a Tgcom24 parlano della loro battaglia e delle difficoltà nel portarla avanti. “C’è un vento molto forte che rende difficoltosa la permanenza qua su – sottolinea Rino Barca, il sindacalista di Fim-Cisl in collegamento telefonico –. Io sono sceso al riparo a dare assistenza a un collega che soffre di vertigini. Nonostante ciò noi non molliamo e stiamo ricevendo manifestazioni di solidarietà da colleghi e lavoratori. La politica deve fare la sua parte, non basta attendere gli eventi, serve un’apolitica attiva che si rimbocchi le maniche e trovi una soluzione”.

Già una soluzione a un problema che vedrebbe oltre mille operai a casa, senza lavoro, se l’impianto dovesse chiudere. In una zona, oltretutto, dove non c’è alternativa. Dove la chiusura di una fabbrica, di un’azienda significherebbe soltanto la fine di un mestiere. Per questo, Barca rincara la dose nel ripetere che questa volta, rispetto ad altri casi di chiusura di impianti, “è una partita troppo importante per la Sulcis” e per dei siti produttivi che “non devono assolutamente chiudere”.

Una faccenda complicata dalla quale trapela quello che lo stesso presidente della regione Sardegna, Ugo Cappellacci, aveva paventato e che ora dalla cima della torre grida Franco Bardi, l’altro sindacalista barricato in protesta. “Nel momento in cui siamo andati a Roma e siamo rientrati con un pezzo di carta in cui si dichiarava il rallentamento dello spegnimento – sostiene Bardi – non possiamo venire a casa e trovare l’azienda che accelera per il contrario. Sono d’accordo con Cappellacci quando dice che sembra che l’Alcoa non voglia che lo stabilimento venga venduto. Si è fatto tutto l’opposto”.

E non sarà il freddo “micidiale”, né la pioggia o il vento forte di tramontana su quel silos alto 55 metri, senza mangiare e solo con il telo di un sacco a fare loro da coperta, a convicerli a scendere. “Dopo la riunione deludente di mercoledì, ci siamo guardati in faccia e abbiamo preso la decisione senza pensarci su più di tanto e nonostante tutto, intendiamo restare qui ad oltranza”.

Decisivo sarà l’intervento del Palazzo. La diatriba ultima si muove su altri sentieri, sempre insidiosi per i lavoratori. Da un lato il sindacato che sostiene una manovra dell’azienda americana molto pericolosa se fosse vera: avrebbe comunicato ai lavoratori “che per carenza di materie prime dovrà spegnere rapidamente l’impianto per lasciare solo 21 celle in coda fino a fine novembre”. Dall’altro lato, Alcoa che controbatte evidenziando di aver presentato un piano per uno spegnimento più graduale del sito dopo che lo stesso ministero, a seguito dell’iniziativa dei due sindacalisti, aveva dichiarato in una nota di “esigere che lo spegnimento dello smelter avvenga secondo le modalità e con le gradualità stabilite”.

Modalità e gradualità che vedeno nel 31 dicembre la chiusura definitiva stabilita dal gigante americano dell’alluminio aperto a vendere l’impianto di Portovesme al miglior offerente. Offerte per ora non “percorribili” a detta del pilastro Usa nonostante le richieste avanzate. A puntare gli occhi sull’impianto della Sulcis, la multinazionale svizzera Glencore e il gruppo Klesh, sempre svizzero, ma anche la torinese Kitegen Research, titolare di brevetti per lo sfruttamento dell’energia eolica d’alta quota. Tutto starà ad accelerare i negoziati con i potenziali acquirenti e "intravedere - sottolineano i sindacati - un percorso serio di cessione".