News

2 Maggio 2012

I latitanti traditi da Facebook

Ricercati dalla polizia italiana vengono rintracciati grazie alle foto postate sul social network

L’irresistibile voglia di un like. Ed ecco che una foto appena scattata solletica il narcisismo che spinge a diffonderla in rete. Una mossa che può costare caro, come ben sanno i latitanti italiani arrestati dalle forze dell’ordine dopo aver postato una loro immagine su Facebook.
L’ultimo caso in ordine di tempo (lo scorso marzo) è quella di Vito Roberto Palazzolo, il palermitano condannato per mafia e accusato di essere il cassiere di Riina e Provenzano. Mentre i magistrati lo accusano di essere un riciclatore, trafficante di droga, consigliere dei grandi boss di Cosa nostra, lui se la spassa in Thailandia. La bella vita tra struzzi e gioielli sarebbe proseguita in tranquillità se non fosse stato per le troppe mail inviate ai famigliari e le foto postate sul social network. Le intercettazioni telematiche hanno permesso alle autorità thailandesi di arrestarlo su richiesta dell'Interpol.

Che dire poi di Michele Grassi, un 27enne ricercato per spaccio di droga. Viveva a Londra dove lavorava come cameriere. Agli investigatori è bastato poco per capire che le statue di cera che comparivano nelle foto erano quelle di Madame Tussauds, il museo delle cere londinese. Visionando altre immagini inserite nel profilo, lo scorso febbraio i carabinieri sono riusciti a rintracciare anche il locale dove lavorava. Da qui la solita procedura: Interpol, carcere, estradizione in Italia.

Tra i malviventi presi grazie al sito di Zuckerberg c’è anche uno dei 100 latitanti più pericolosi d’Italia. È Salvatore D’Avino, 39 anni, il camorrista catturato nell’agosto del 2011 a Marbella, in Spagna. Aveva appena raggiunto la sua compagna marocchina, trasferitasi in Costa del Sol per partorire. E proprio alcune fotografie diffuse in rete dalla donna lo hanno incastrato.

Altra storia è quella di Pasquale Manfredi, 33 anni, accusato di associazione mafiosa, omicidio e detenzione di armi da guerra. Nel marzo 2010 era stato arrestato sull’Isola di Capo Rizzuto (Crotone) grazie alle informazioni ottenute da foto caricate dal cellulare. E dire che Manfredi è sempre stato uno accorto, uno che ha frequentato una “scuola di guerra” nell’Oltrepo pavese. Un vero guerriero a cui nessuno però aveva spiegato che anche le forze dell’ordine, e non solo gli amici, guardano Facebook. Il suo profilo aveva una ragione in più per essere tenuto sotto controllo: in rete si faceva chiamare Scarface, come il trafficante di cocaina interpretato da Al Pacino.