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17 Febbraio 2011

Novi, Erika a un passo da libertà

Dieci anni fa massacro Novi, Erika a un passo da libertà Il padre vorrebbe riaccoglierla nella casa dove ci fu il delitto

Erika De Nardo conta i giorni che le mancano per tornare in libertà. Fra poco più di un anno potrà lasciare il carcere dove sta finendo di scontare la pena per il duplice omicidio della madre e del fratellino, compiuto nella loro casa di Novi Ligure (Alessandria), il 21 ferraio 2001, esattamente dieci anni fa. Un massacro come molti definirono - e ricordano tuttora - quel delitto; "una mattanza", come dissero, con gli occhi sbarrati, i primi soccorritori dopo essere stati sul luogo del crimine. Susy Cassini, 41 anni, e il figlio Gianluca, di 11, morirono massacrati da 97 coltellate, per mano di Erika, che allora aveva sedici anni, e del suo 'fidanzatino' Omar, all'epoca diciasettenne.

Lui è tornato in libertà l'anno scorso, ha lasciato il carcere di Asti e il Piemonte, spera che nessuno più lo cerchi per parlare di quei giorni. "Voglio solo essere lasciato in pace", aveva detto. "Uno degli episodi più drammaticamente inquietanti della storia giudiziaria del nostro Paese", così scrissero i giudici della Corte d'Appello per i minori di Torino confermando le condanne (16 anni per lei, 14 per lui), poi ridotte per effetto dell'indulto e degli sconti di pena. Erika aspetta di riassaporare la libertà. Vuole cominciare una nuova vita, avrebbe confidato di volersi costruire una famiglia e diventare mamma.

A Novi Ligure si dice che il padre, l'ingegner Francesco De Nardo, si prepari a riaccoglierla a casa, in quella stessa "villetta degli orrori", al quartiere Lodolino, dove è tornato a vivere, subito dopo il dissequestro. E' una prospettiva che turba molti novesi: faticano ad accettare l'idea che quella ragazza, diventata una giovane donna, possa tornare tra di loro dopo tanta ferocia, fanno fatica a convincersi che sia davvero diventata un'altra persona.

Ma il padre non ha mai abbandonato Erika, è sempre andato a trovarla in carcere, prima a Milano, all'istituto per minori 'Beccaria', poi a Verziano (Brescia) dove la giovane si è prima diplomata e poi laureata in Lettere con una tesi sul pensiero filosofico di Socrate.

Cinque anni fa i suoi legali avevano chiesto la libertà condizionale perché potesse essere ospitata in una comunità di recupero. Richiesta respinta dalla Cassazione perché, secondo i giudici della Suprema Corte, non si era ancora ravveduta.

"Chi siano oggi Omar ed Erika è difficile dirlo - scrive sul suo sito Massimo Picozzi, il criminologo che fu consulente della difesa della ragazza - ed è del tutto improbabile che commettano altri reati ma hanno compreso l'enormità del loro gesto? Il senso di colpa ha messo radici nel loro cuore?". Il decennale, lunedì prossimo, riapre le ferite di Novi.

"Temo che la ricorrenza ci farà tornare a parlare di quel delitto, più ancora quando Erika uscirà dal carcere - dice il deputato del Pd Mario Lovelli, nel 2001 sindaco di Novi -. Per la città furono giorni traumatici, c'é voluto tempo per metabolizzare la tragedia. Ricordo il giorno dopo il delitto, la reazione strumentale della Lega Nord e di Forza Italia, quando non si conosceva ancora la verità".

C'era stato un consiglio comunale infuocato, molti esponenti del centrodestra chiedevano di usare la mano pesante contro gli immigrati clandestini. Si pensava che gli assassini fossero extracomunitari, "albanesi entrati in casa per compiere una rapina": così aveva raccontato ai Carabinieri Erika, l'unica scampatà perché il padre era fuori casa, a giocare a calcetto con amici e colleghi.

La ragazza sperava di depistare gli investigatori, ma i sospetti caddero presto su di lei e sul 'fidanzatino'. La 'coppia diabolica' fu incastrata da una cimice messa in caserma, in una pausa dell'interrogatorio, e da una telefonata intercettata: "Ce la faremo, ci stanno credendo", aveva detto Erika a Omar. Ma la terribile verità era già stata scoperta.