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22 Giugno 2018

Il Clan dei Ricciai vince un Premio

Il documentario Il Clan dei ricciai, realizzato con il sostegno della Fondazione Sardegna Film Commission e del Comune di Cagliari

Gesuino è alto 1 metro e 60 e pesa 86 chili. È un boss. Ha scelto personalmente i membri del suo clan: Massimo è il suo braccio destro, ha scontato sei anni per associazione a delinquere. A Milano rubava Ferrari, Maserati, Porche e poi organizzava gare clandestine di auto. Andrea ha 58 anni, 14 li ha passati in carcere. Il suo corpo è completamente segnato dai tatuaggi fatti durante la detenzione e dai tagli che si è procurato con le lamette, sempre in cella. Poi c’è Bruno, che è suo cugino e Simone che è il più giovane di tutti, ma ha già scontato quattro mesi ai domiciliari. Per i loro interventi salgono su un gommone e indossano sempre una tuta nera e una maschera in viso che gli lascia scoperti solo gli occhi. Gesuino, Andrea, Massimo, Bruno e Simone fanno parte del clan dei ricciai: la loro missione, a Cagliari, dove vivono, è la pesca dei ricci.

A raccontare la storia di questo gruppo di ex detenuti che cercano riscatto reinventandosi pescatori è il documentario diretto da Pietro Mereu, Il clan dei ricciai, presentato in anteprima a Bologna a Biografilm Festival (14-21 giugno). Gesuino Banchero ha 58 anni e da 38 fa questo lavoro (dopo aver scontato pure lui la sua pena), ha anche un chiosco per la vendita dei ricci e un banco al mercato di San Benedetto, a Cagliari. “Si è preso l’incarico di scegliere come lavoratori gente uscita dal carcere”, racconta il regista, Mereu. È “l’ultima spiaggia per chi ha avuto problemi con la legge”, dice Gesuino nel film. Ma la pesca dei ricci, in Sardegna, è un’attività antichissima che sono rimasti in pochi a praticare e questi pochi si spartiscono le zone di pesca con vere faide. Così, in una via di mezzo tra scontri tra pirati e battaglie western, non è raro che tra i clan delle province dell’isola finisca a botte. “Con gli oristanesi i cagliaritani si sono massacrati – continua Mereu, originario dell’Ogliastra – sparatorie, gommoni incendiati, ruote dei camion bruciate, scazzottate”. Oltre alle regole non scritte dei clan ci sono poi quelle ufficiali: “I quantitativi di ricci che è possibile pescare, il periodo in cui si possono prendere”. Molti pescatori, però, hanno barche con sottofondi e se il limite di ricci che si possono prendere è, ad esempio, mille loro ne pescano cinquemila. C’è poi chi riporta a galla datteri, cosa che è illegale, per non parlare di reperti romani. “Non è facile smettere di delinquere in certi ambienti”. Molti pescano con le bombe, Mereu avrebbe voluto riprendere quella scena. “L'ho proposto a uno dei personaggi – racconta – mi ha risposto che le bombe fanno colonne d’acqua di trenta metri, la capitaneria di porto sarebbe arrivata immediatamente”. Eppure alcuni ricciai ancora oggi fanno così, utilizzando la dinamite rubata nelle miniere.

Joe Perrino è un altro protagonista del film, non è un ricciaio né un ex detenuto, anche se a sentirlo raccontare quelle storie della sua città, tantissimi pensano che lo sia. Joe non solo a Cagliari, in tutta la Sardegna è una star: è un cantante e le sue Canzoni di malavita sono state utilizzate per la colonna sonora de Il clan dei ricciai. “I miei pezzi sono un racconto romantico della malavita” dice Joe, capelli lunghi, barba incolta, occhi segnati con una matita nera, collana, bracciali e diversi anelli addosso. “Raccontano una malavita che non esiste più: non ci sono più regole o scale gerarchiche oggi”. Oggi, nel suo quartiere Castello, un tempo il cuore della malavita di Cagliari, “ci sono solo ragazzini imbottiti di droga”. I ricciai, invece, lui li conosce bene e pure quel lavoro: “I ricci si raccolgono nei mesi dell’anno che finiscono con -bre, da settembre a dicembre”.

Quindi d'inverno, e immergersi in acqua, tutti i giorni in inverno, è un lavoro durissimo. "Finisci col vomitare catarro” dice Perrino. C'è però un’epica, tra i membri del clan c’è una sorta di fierezza nell’affrontare quel lavoro e poi a chi ha vissuto il carcere sembra tutto più sopportabile. Il film di Mereu è anche un film di denuncia: il racconto della pesca dei ricci si alterna a quello degli anni passati in carcere: parlando 'su casanzinu', il gergo del carcere cagliaritano, gli ex detenuti ricordano la violenza dei compagni di stanza e delle guardie, i codici di rispetto che oggi non si applicano più e mostrano il corpo coperto da tatuaggi, quelli fatti in cella a rendere indelebili certi desideri. E poi si concedono al racconto delle storie più private: Andrea, ad esempio, è autolesionista, usa le lamette per tagliarsi e vorrebbe solo riavere i figli dei quali gli è stata tolta la patria podestà. Massimo ci ha provato ad avere una vita normale, voleva diventare un carabiniere, ma non ci è mai riuscito a causa dei precedenti dei suoi genitori. Stessa storia quando ha provato a entrare nei vigili del fuoco. Allora ha fatto lo scafista per anni, trasportando armi.

La giuria del premio, composta da Maria Luisa Brizio, Alice Bolognesi, Letizia Lucangeli, ha decretato Il clan dei ricciai miglior film del Concorso Biografilm Italia con la seguente motivazione:

“Il clan dei ricciai di Pietro Mereu ha saputo raccontare con naturalezza ed eleganza una storia di riscatto e dignità attraverso una solida narrazione e immagini nitide e poetiche di volti e luoghi”.

“Sono molto felice – dichiara il regista - che il mio film abbia vinto questo premio perché l’Italia che non si vede è proprio quella che ho cercato di far vedere con Il clan dei ricciai. L’Italia che non si vede è quella che ha tante storie interessanti da raccontare. Ringrazio i produttori che hanno creduto nel progetto, il Biografilm per averlo accolto e la Sardegna Film Commission per averlo sostenuto e continuare a sostenerlo”.

L’opera si aggiudica un assegno di 1.000 euro e un accordo di distribuzione nazionale con “L’Italia che non si vede. Rassegna Itinerante di Cinema del Reale” a cura di UCCA – Unione dei Circoli Cinematografici ARCI.

SINOSSI - La pesca dei ricci di mare è un mestiere faticoso. A Cagliari, fra le onde di un mare cristallino, non sono rimasti in molti a praticarla. Per fortuna c’è Gesuino, che con il suo clan di ex detenuti porta avanti con orgoglio una delle più antiche tradizioni della cultura sarda. Così come Gesuino offre a questi lupi di mare un’occasione di riscatto, Il clan dei ricciai restituisce voce e dignità a tante persone dimenticate dal mondo, uomini che cercano di superare il passato e prendere il controllo della propria vita. Sulle note delle Canzoni di Malavita di Joe Perrino, il film offre un amaro e autentico sguardo sulla vita dei carcerati e la loro lotta quotidiana per reintegrarsi nella

Il clan dei ricciai di Pietro Mereu è prodotto dalla Drive Production Company di Nicolas Vaporidis, Matteo Branciamore, Primo Reggiani e Eros Galbiati e realizzato con il sostegno della Fondazione Sardegna Film Commission e del Comune di Cagliari – Fondo Filming Cagliari.

Il film è riconosciuto di interesse culturale dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – MiBACT Direzione generale cinema.