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6 Luglio 2012

Provvisorie ma belle no a chiese container

L' Emilia non si arrende e combatte

Non è ancora scoccata l’ora dei "costruttori di cattedrali" nell’Emilia ferita dal sisma. Eppure una trentina di architetti provenienti da varie zone d’Italia (alcune delle quali già in passato colpite dal terremoto) ha deciso di portarsi avanti.

Mettendo a punto un metodo per rendere le chiese provvisorie (quelle nelle tensostrutture) meno brutte e più funzionali alle esigenze liturgiche, individuando alternative e cominciando a ragionare sulla progettazione delle nuove chiese che dovranno rimpiazzare quelle distrutte o gravemente lesionate. I professionisti sono stati convocati a Bologna da "Dies Domini - Centro Studi per l’architettura sacra e la città" della Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro.

«Container, chiese-tenda e casette prefabbricate sono – ricorda il direttore del Centro Claudia Manenti – le soluzioni più veloci e apparentemente più economiche ma, considerate le esperienze dei luoghi nel passato colpiti da eventi sismici come il Friuli o L’Aquila, si comprende come la provvisorietà possa anche durare decenni e che le strutture di emergenza, se non adatte all’uso, possano provocare sensibili disagi alla vita di comunità e alla pratica liturgica. In quest’ottica diviene, quindi, importante avere, in tempi rapidi, soluzioni temporanee soddisfacenti sotto il profilo dei costi, della forma architettonica e della funzionalità liturgica e comunitaria». «Il nostro compito – spiega Gian Lorenzo Ingrami di Sassuolo – è ridare alle comunità i luoghi di incontro sociale e di celebrazione religiosa che segnano l’identità religiosa e civile di un paese; alle popolazioni terremotate vogliamo dare una risposta collettiva lavorando insieme in fase teorica e poi, se l’iniziativa avrà un seguito, con chi si coinvolgerà con questo progetto».

Nessuno degli architetti dubita che nell’emergenza anche il tendone sia più che necessario. «Ma non possiamo nasconderci – osserva Barbara Fiorini di Grosseto – che ci sono condizione gravose di confort per chi partecipa alla Messa e per chi la celebra. Senza contare che questa soluzione ha dei costi di gestione molto elevati difficili da sopportare a lungo». Maurizio Martinuzzi, architetto friulano, il terremoto lo conosce bene. «La provvisiorietà – afferma – non deve essere confusa con l’approssimazione o con la bruttezza: col nostro lavoro vogliamo dimostrare che, pur in una fase di emergenza, tutti gli spazi sacri devono essere realizzati con tutte le caratteristiche proprie. Vogliamo sconfiggere l’idea che il temporaneo coincida per forza con il banale e l’insufficiente».

In questa prospettiva, conferma Pietro Barani di Castelvetro (Modena) «ci vogliamo impegnare in un’opera reale che risponda sia alla necessità pratica che a quella spirituale: perché è di chiese che stiamo parlando». Il prefabbricato può essere una soluzione? Per Ingrami è una buona alternativa a patto che sia di qualità. «Da una parte è una scelta quasi obbligata se si vogliono saltare le lungaggini burocratiche. Unica controindicazione la scarsa relazionalità col territorio: strutture di questo genere sono uguali in Emilia e a L’Aquila». Consigli ai parroci delle zone terremotate?

«Ai preti voglio bene. Ma è meglio che non si improvvisino architetti», suggerisce Martinuzzi. Aggiunge Fiorini: «Dovrebbero parlarci prima di tutto delle loro comunità, perché noi vogliamo aprire una strada ma non calare dall’alto la nostra proposta». Che dalla comunità, concorda Barani, «deve essere capita e vissuta». Per questo sottolinea Ingrami «è più che mai necessario un percorso comune tra progettista, parroco e comunità». Inevitabile parlare di ricostruzione. L’esempio del Friuli è sotto gli occhi di tutti.

«Nel nostro caso – racconta Martinuzzi – la comunità civica ha svolto un ruolo fondamentale e tutte le chiese sono state ricostruite». Anche se, ricorda Barbara Fiorini «allora c’era una situazione economica diversa da quella di oggi». Esiste il rischio di ricostruire chiese fotocopia? «Anche in Friuli abbiamo avuto casi di questo genere, a volte disastrosi. L’unico antidoto a questo rischio è riprendere in mano il messaggio conciliare e cogliere al volo la possibilità di ricominciare e di rileggere un percorso».